Il Concorso si chiude con un film da Orso d’oro
Il sole è spuntato su Berlino, riscaldando l’aria. Sembra primavera. Così la Berlinale saluta l’ultimo film in concorso, ‘Di Jiu Tian Chang’ (titolo internazionale: ‘So Long, My Son’) di Wang Xiaoshuai, uno che non entra mai casualmente in competizione. Già laureato a Cannes e a Locarno, il regista cinese torna a Berlino con questo film lungo tre ore – ma ci stanno tutte, perché grazie a un montaggio straordinario riesce non solo a raccontare epicamente più di trent’anni di storia cinese, ma anche a farci riflettere sul destino di ogni singolo di fronte alle grandi storie. I suoi personaggi non sono eroi, ma esseri umani, persone che come nella tragedia greca sono cariche di un opprimente passato che è diventato il loro essere vivi: non un ricordo, non un gioco di memoria ma un cammino. Loro sono Youyun e sua moglie Liyun, una vita dalla Rivoluzione culturale ai grattacieli a un oggi che ha rotto le barriere del futuro. Ma quelle barriere non erano già state rotte dal maoismo, quel futuro non era già stato? Lei, incinta di un secondo bambino al tempo della politica del figlio unico, era stata costretta ad abortire, distruggendole l’utero. Il figlio che avevano muore: basterebbe questo a dire di loro, ma non basta. Ci sono film che non si possono raccontare, perché diventano vita di chi è spettatore e la grandezza di Wang Xiaoshuai è quella di rasserenare con una critica che non diventa denuncia, ma incide più a fondo, facendo incontrare i suoi personaggi a un funerale: alcuni sono diventati ricchi, sono saliti nella scala sociale; altri sono stati incapaci di cogliere i ritmi del futuro, segnati dai traumi del passato. Ma è il rincontrarsi il senso ultimo dell’aver patito e vissuto. Meritati applausi. Dopo questo film sembra chiarirsi il mistero della mancanza in concorso di ‘One Second’ di Zhang Yimou, film che si annunciava critico verso l’attuale governo cinese: a Berlino corre voce che la Cina non poteva sopportare due film contro. Vedremo gli sviluppi. Ora la Giuria guidata da Juliette Binoche si trova ad assegnare gli Orsi, un po’ tutti i film visti hanno un motivo per essere premiati, al di là del valore cinematografico: spesso a Berlino vincono i film che raccontano il sociale per cui spazio al film macedone ‘Gospod postoi, imeto i' e Petrunija’, all’italiano ‘La paranza dei bambini’ e al mongolo ‘Öndög’, film che non si negano un colore locale che ai berlinesi piace molto. Si vedrà!