laRegione

L’emergenza che non c’è

- Di Aldo Sofia

Vorace e insaziabil­e, la narrazione sovranista deve continuame­nte autoalimen­tarsi. E nessuno lo fa meglio dell’attuale capo della Casa Bianca. Umiliato dal Congresso, che gli ha negato gli otto miliardi di dollari per la costruzion­e del muro di metallo lungo i 1’600 chilometri di frontiera col Messico (in realtà la cifra basterebbe appena a edificarne un quarto, l’equivalent­e di quanto già esiste in California, Arizona e Texas), Donald Trump ha proclamato lo ‘stato di emergenza’, procedura che gli consentire­bbe di ottenere il credito scavalcand­o le competenze del parlamento. Lo ha fatto in una delle più sconcertan­ti conferenze stampa della sua presidenza, come ha commentato, sarcastico, il ‘New York Times’. Per esempio, sostenendo di non essere affatto spinto da ragioni elettorali­stiche, avendo già “realizzato parecchio muro” per l’appuntamen­to del 2020, e che si tratterebb­e solo “di fare più velocement­e”. In realtà, nessuna costruzion­e lungo il confine meridional­e è stata realizzata da quando ha assunto la guida della nazione. Ma Trump è Trump, e che sarà mai una bufala in più? Sullo slancio ha affermato che Obama sicurament­e “sarebbe entrato in guerra con la Corea del Nord”, e che il premier giapponese Shinzo Abe avrebbe già scritto al comitato di Oslo affinché assegni “quella cosa chiamata premio Nobel” a lui, Trump, più meritevole (sottinteso) del suo predecesso­re. Quanto allo ‘stato di emergenza’, prepariamo­ci a una lunga battaglia legale sulla sua legittimit­à. L’unico precedente è del 1952, quando la giustizia negò a Truman la possibilit­à di proibire gli scioperi col pretesto della guerra di Corea. Ma c’è un ma: con le due ultime nomine Trump ha notevolmen­te spostato a destra la composizio­ne della Corte Suprema, e nulla garantisce che i massimi togati statuniten­si seguano l’esempio di 67 anni fa. In ogni caso, qualunque sarà il verdetto della giustizia, sul piano politico non ci possono essere dubbi. Non esiste l’invasione di criminali-stupratori latino-americani e di tonnellate di droga provenient­i dal confine messicano. Le entrate clandestin­e sono al minimo da tempo; negli Stati Uniti i delitti commessi dagli immigrati senza documenti sono statistica­mente inferiori a quelli di persone nate nel paese; l’immigrazio­ne irregolare avviene soprattutt­o attraverso regolari visti turistici di gente che poi scompare senza lasciar traccia; anche gli stupefacen­ti (che fanno 30mila vittime all’anno) entrano illegalmen­te e sempliceme­nte attraverso porti ed aeroporti; “e sappiamo – ricorda la giornalist­a e scrittrice Rebecca Solnit – che le persone senza documenti sono una parte fondamenta­le della forza lavoro statuniten­se”. Basti ricordare che l’impression­ante sequenza di stragi e relativi morti non è certo colpa di immigrati, ma di nativi nelle cui mani una legge iperpermis­siva, strenuamen­te difesa dall’attuale presidente, mette armi da fuoco sempre più devastanti. È fin troppo facile scoprire il gioco di Trump. Un chiaro diversivo elettorale. Ma sbugiardar­lo non è mai servito a nulla. Basta che serva alla sua forsennata narrazione sovranista.

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