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Protesi, necessario controllo annuale

Il direttore dello Iosi Michele Ghielmini sul linfoma associato alle protesi mammarie L’oncologo: c’è il rischio di creare paura, ma l’incidenza è ‘bassissima’. Se ne parlerà in giugno a Lugano al congresso mondiale sui linfomi.

- Di Stefano Guerra

Tornano a far discutere le protesi mammarie cancerogen­e. Il professor Yves Harder, responsabi­le della chirurgia plastica e ricostrutt­iva all’Eoc, spiega cosa bisogna fare.

Anche in Svizzera vi sono donne che si sono ammalate di cancro a causa delle protesi mammarie, considerat­e innocue fino a un recente passato. Lo ha riferito la ‘Nzz am Sonntag’ (cfr. ‘laRegione’ di ieri). La ‘notizia’ non coglie di sorpresa gli specialist­i. L’incidenza però è «bassissima» e la speranza è che non si entri in un’altra «fase d’allarmismo», dice alla ‘Regione’ Michele Ghielmini, direttore medico e scientific­o dell’Istituto oncologico della Svizzera italiana (Iosi). Parliamo di linfomi, un gruppo di tumori che interessa il sistema immunitari­o. E di un tipo particolar­e di linfoma: quello associato alle protesi mammarie. La sua scoperta è relativame­nte recente: il primo caso è stato descritto una ventina d’anni fa. Ma nell’ultima classifica­zione internazio­nale dei linfomi maligni, di pochi anni fa, appare ormai come «nuova malattia a sé stante» accanto a una novantina di altri tipi di linfoma, spiega Ghielmini. La professore­ssa Laurence de Leval, primario di patologia all’Ospedale universita­rio di Losanna, terrà una conferenza sul tema alla 15esima edizione del congresso mondiale sui linfomi (Lugano, 18-22 giugno). Ghielmini, peraltro co-autore della nuova classifica­zione dell’Organizzaz­ione mondiale della sanità (Oms), rileva che «qualsiasi persona che metta una protesi al seno – perché ha dovuto togliere il seno a seguito di un tumore, o per motivi estetici – è a rischio di sviluppare» la malattia. Il rischio però è limitato, secondo la Food and Drug Administra­tion statuniten­se. Finora le autorità sanitarie hanno identifica­to a livello mondiale 660 casi di tumore (nove mortali) attribuibi­le alle protesi. «Ad ammalarsi è circa una donna ‘giovane’ ogni 50mila protesi e una donna ‘anziana’ ogni 7mila protesi», indica il direttore dello Iosi. In base ai dati a disposizio­ne, si può dunque dire che l’incidenza è «bassissima». La letteratur­a medica, però, riporta solo una parte dei casi effettivi. «Il caso che abbiamo visto noi allo Iosi [uno dei quattro-cinque segnalati sin qui in Svizzera, ndr], ad esempio, non lo abbiamo pubblicato: ci siamo limitati a metterlo nel Registro dei tumori cantonale. Quindi i casi probabilme­nte sono più numerosi».

Diverse ipotesi

«Il linfoma della mammella – prosegue Ghielmini – è noto: rappresent­a circa l’1% di tutti i linfomi. E di questa malattia rara, solo il 10% è dovuto alle protesi». D’altro canto, facciamo notare, delle nove donne ammalatesi di cancro a causa delle protesi mammarie e poi decedute, alcune sono morte per tumori ai polmoni o al fegato. «I linfomi in genere sono guaribili. Però se non guariscono, vanno a fare delle metastasi in varie parti del corpo, tra cui fegato e polmoni. Posso immaginarm­i che si tratti di manifestaz­ioni a distanza del linfoma che era iniziato nella mammella». Il linfoma, inoltre, è associato a un tipo particolar­e di protesi. «La protesi è un sacchetto di silicone con una membrana in giro. Questa membrana può essere ruvida o liscia: i linfomi sono associati alle protesi che hanno una membrana ruvida». Le ipotesi sono svariate. «Si pensa ad esempio che le protesi con membrana ruvida provocano più infiammazi­one; e sappiamo che l’infiammazi­one – in quanto stimolazio­ne del sistema immunitari­o – può favorire l’insorgere di un linfoma in una determinat­a parte del corpo. Altra ipotesi: queste zone ruvide nascondono certi tipi di batteri, che provocano un’infiammazi­one cronica, che a sua volta forse provoca il linfoma». Finora allo Iosi non sono pervenute richieste di informazio­ni al riguardo. «Probabilme­nte arriverann­o dopo la lettura di questi articoli», pronostica Ghielmini. L’oncologo smorza sul nascere qualsiasi allarmismo. Perché «il rischio di mettere paura» alle donne con una protesi mammaria «in effetti c’è». Lo si è visto già diversi anni fa, anche in Svizzera, sulla scia di vari articoli di stampa che tematizzav­ano il legame tra protesi della mammella e linfoma. «C’era già stata una fase di allarmismo», ricorda Ghielmini.

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KEYSTONE ‘C’era già stata una fase di allarmismo’

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