‘Non tutti in buona fede’
Tra forti critiche e rimproveri, in Gran Consiglio cala il sipario sul caso Argo 1 Michele Foletti, presidente della Commissione d’inchiesta: nessuna giustificazione per il mancato rispetto delle norme
«Un quadro desolante». E rivolgendosi a Paolo Beltraminelli: «Scusi la franchezza, ma la sua responsabilità politica è lampante». Poi la bordata, «senza fare sconti a nessuno e senza considerare la casacca partitica: signori ministri, così non va». È netto il liberale radicale Giorgio Galusero nel commentare il lavoro della Commissione parlamentare d’inchiesta (Cpi) sul caso Argo 1, illustrato ieri in parlamento a distanza di quindici mesi da quel 6 novembre 2017, giorno in cui il Gran Consiglio ne ha deciso l’istituzione. La Cpi – composta, oltreché da Galusero, da Michele Foletti (Lega), Claudio Franscella (Ppd), Carlo Lepori (Ps), Michela Delcò Petralli (Verdi) e Tiziano Galeazzi (Udc) – aveva il compito di far luce, dal punto di vista amministrativo e delle responsabilità politiche, sul mandato per la sorveglianza dei centri per richiedenti l’asilo dato alla ditta di sicurezza Argo 1. Un mandato «conferito con la più assoluta improvvisazione», rincara Galusero. «Senza alcun controllo iniziale di una ditta che non si sapeva da dove comparisse», sì. Ma «non bisogna fare sconti nemmeno alla leggerezza con cui la Sezione delle finanze ha pagato tutte le fatture senza la necessaria risoluzione governativa, si parla di sette milioni spesi senza uno straccio di documento». Il governo, nella sua replica inviata per iscritto alla Cpi, ha fatto leva sulla buona fede con cui i funzionari hanno gestito il caso. Tesi, questa, «che mi lascia ancora più esterrefatto, assieme al fatto che viene ribadita l’emergenza nella quale si è operato». C’era «forse all’inizio», sicuramente non quando «è stato firmato il contratto con Argo 1». E da qui, ancora un affondo a Paolo Beltraminelli, direttore del Dss: «Dopo due anni, credo che lei non abbia ancora capito la portata di quanto successo nel suo ufficio». Anche dalla Lega non si sono contate le cannonate. Per il capogruppo Daniele Caverzasio su tutta la storia «aleggia una sorta di cultura dell’omertà, della necessità di proteggersi l’un l’altro, cercando la protezione del partito, convinti che i partiti storici abbiano il potere di una volta e riescano a insabbiare. Una cultura ben radicata nell’amministrazione». Ma ne ha per tutti, Caverzasio. Per il capogruppo liberale radicale Alex Farinelli che, «da coordinatore della sottocommissione che ha preceduto la Cpi, non ha dato comunicazione ai suoi colleghi per una settimana di un’importante e-mail di Renato Scheurer, nella quale l’allora Capo dell’Ufficio sostegno sociale e inserimento ritrattava una sua dichiarazione. Asserendo che pensava fosse una comunicazione privata, quando – rinnova Caverzasio – invece al procuratore generale l’ha segnalata subito. Era privata o no, quindi?». E ce n’è anche per il Ppd, riguardo alla cena di Bormio «e al soggiorno offerto da Marco Sansonetti, ex responsabile operativo di Argo 1, al presidente popolare democratico Fiorenzo Dadò e a Carmela Fiorini, responsabile del Servizio richiedenti l’asilo del Dss. Dell’incontro convocato in seguito presso un ufficio dell’Amministrazione cantonale per discutere della questione, presenti Dadò e Fiorini, nessuno ha ritenuto di avvertire Beltraminelli». A ripetere che «l’urgenza non dura quattro anni» è anche la verde Michela Delcò Petralli: «Non si pagano tutti questi milioni senza i necessari giustificativi, non è ammissibile che si sia andati avanti per quattro anni senza che nessuno tirasse il freno a mano». E la staffilata a Beltraminelli è naturale conseguenza dell’argomentare: «Non so se si è reso conto che i suoi funzionari agivano come se sopra di loro non ci fosse nessuno. Lei ha firmato un contratto con Argo 1 a occhi chiusi, senza sapere chi fossero, senza concorso pubblico, senza risoluzione governativa. So che fare il consigliere di Stato non è facile, ma se non si deve essere temuti dai funzionari, almeno rispettati sì». Sbagliare si può, afferma la deputata dei Verdi, «ma poi si chiede scusa, si ammette. Non si briga per nascondere la verità o screditare chi ha aperto il vaso di Pandora». Per l’Udc è Gabriele Pinoja a dirsi «scioccato e ammutolito, come tutta l’aula» davanti a questa storia. «Mi auguro che il Consiglio di Stato e il Dipartimento sanità e socialità abbiano la forza e il coraggio di scusarsi per l’accaduto davanti a tutto il Cantone».