L’associazione Swiss Plastic Surgery raccomanda un controllo annuale
È «una storia sempre più presente nell’opinione pubblica, che adesso va presa sul serio» quella dei tumori potenzialmente associati alle protesi mammarie rilanciata dalla ‘Nzz am Sonntag’. A dirlo è il professor Yves Harder, responsabile della chirurgia plastica e ricostruttiva ed estetica all’Ente ospedaliero cantonale (Eoc). Le protesi incriminate sono quelle con superficie ruvida (o testurizzata) della Allergan. Rispetto a quelle lisce, utilizzate per lo più in giovani donne che si sottopongono a interventi chirurgici per aumentare il volume del seno, questo tipo di protesi – con le quali viene ricostruito il seno di buona parte delle pazienti oncologiche dopo una mastectomia – «attecchisce meglio sui tessuti della donna e rimane fermo nel posto prestabilito», spiega Harder. In dicembre le protesi ‘ruvide’ della Allergan sono state ritirate dal mercato nell’Ue. Il nome della società irlandese è ormai su tutti i giornali. E «noi riceviamo ogni giorno delle chiamate di donne che ci chiedono cosa devono fare», afferma il presidente della Società ticinese di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica. Appunto, cosa devono fare le donne con una protesi mammaria Allergan o di altro tipo? «Non c’è nessuna ragione di essere spaventate», premette Harder. Da parte di Swiss Plastic Surgery – la Società svizzera di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, peraltro in disaccordo con le autorità sanitarie francesi, che raccomandano l’utilizzo di protesi lisce – «non vi è una indicazione di togliere le protesi Allergan in assenza di sintomi. Tutte le donne che ne hanno una però dovranno fare ogni anno un controllo». Un «segnale d’allarme», invece, è dato – anche a distanza di anni o di decenni dall’intervento chirurgico – da «un gonfiore improvviso, dall’oggi al domani, con il seno che, per una ragione o per un’altra, si riempie di siero, diventa teso ma non fa male». Va però detto che il tumore, «qualora dovesse manifestarsi, può essere guarito se diagnosticato presto e in modo accurato: in questi casi di regola basta togliere la protesi e la capsula attorno ad essa». Siamo a cavallo di oncologia e chirurgia plastica. «Noi – spiega Michele Ghielmini, direttore medico e scientifico dell’Istituto oncologico della Svizzera italiana (Iosi) – cerchiamo di favorire una ricostruzione nel tempo più breve possibile. Durante l’intervento chirurgico togliamo il tumore, e nella misura del possibile creiamo le condizioni affinché una ricostruzione possa venire effettuata. Questa ricostruzione può essere fatta con protesi o in altro modo, ad esempio con lembi di pelle prelevati da varie parti del corpo. È una cosa che decidono i chirurghi plastici, con i quali comunque lavoriamo a stretto contatto. L’approccio in casi del genere è sempre multidisciplinare».