‘Deve intervenire Berna’
Il fisco italiano intende tassare alcune attività finanziarie transfrontaliere Si tratta dei proventi da interessi generati con la clientela d’oltre confine emersi durante le amnistie passate. Un chiarimento è dovuto.
Il fisco italiano sta battendo cassa presso le banche svizzere. Una reazione che arriva dopo le due edizioni della Voluntary disclosure (l’emersione di capitali illecitamente detenuti all’estero) che ha permesso all’Agenzia delle entrate di costituire un importante patrimonio di informazioni, arricchito ulteriormente con il flusso di dati forniti dalle stesse autorità estere in base al Common reporting standard dell’Ocse (lo scambio automatico d’informazioni a fini fiscali). Dati molto precisi che stanno permettendo alle autorità tributarie italiane di disegnare gli schemi elusivi o di evasione fiscale messi in atto dai contribuenti infedeli – ora pentiti – con il sostegno dei cosiddetti ‘facilitatori’ ovvero gli intermediari finanziari esteri. E da questo esame è emerso in molti casi che questi intermediari hanno realizzato degli utili sul territorio italiano attraverso una stabile organizzazione che non deve essere per forza fisica. Utili, soprattutto da interessi, ma anche da commissioni bancarie, che ora il fisco italiano vuole tassare. Alcuni intermediari hanno già regolarizzato la loro posizione versando alcuni milioni di
euro al fisco estero. Altri sono alle prese con procedimenti penali (caso Pkb su tutti) e altri ancora non sanno bene come affrontare la questione. Il dibattito è stato riaperto, sulle colonne del ‘CdT’, dall’avvocato Emanuele Stauffer, già procuratore pubblico del Cantone Ticino e già responsabile giuridico prima al Credit Suisse e poi a Efg. Dibattito a cui si è aggiunto anche Alberto Petruzzella, presidente dell’Associazione bancaria ticinese. Quest’ultimo chiede che sia Berna o meglio l’Amministrazione federale delle contribuzioni (Afc) ad attivarsi nei confronti di Roma per chiarire la vertenza. Idea condivisa da Samuele Vorpe, responsabile del Centro di competenze tributarie della Supsi. «La Convenzione contro la doppia imposizione (Cdi) in vigore tra Svizzera e Italia prevede – all’articolo 26 – la possibilità di creare una commissione mista per regolare ‘amichevolmente’ i casi controversi risultanti dall’applicazione della stessa Cdi». La comunicazione – continua ancora Vorpe – deve avvenire tra le due autorità fiscali e non tra un soggetto privato e l’autorità tributaria estera. Un caso analogo era capitano nell’ambito della controversia fiscale con gli Stati Uniti e il tentativo dell’Irs (Internal revenue service, il fisco statunitense) di ottenere informazioni sensibili direttamente dai soggetti coinvolti. «Ci vuole un’interpretazione giuridica univoca per le pretese fiscali italiane proprio per evitare disparità di trattamento», commenta Samuele Vorpe. Al capoverso quattro dell’articolo 26 della Cdi è chiaro a proposito. “Le autorità competenti degli Stati contraenti potranno comunicare direttamente fra di loro ai fini del presente articolo. Una commissione mista, formata di rappresentanti designati dalle stesse autorità competenti, avrà competenza per regolare amichevolmente i casi controversi risultanti dall’applicazione e dalla interpretazione della Convenzione. Detta commissione mista si riunirà, alternativamente, in uno degli Stati contraenti, ogni qual volta che una delle autorità competenti lo richieda”.