Schermo ai giovani
L’adolescenza viene regolarmente associata all’insubordinazione e all’indisciplina. Ma come possiamo capire i ragazzi se essi sono spesso assenti dai dibattiti che li definiscono? Fra social media, filosofi indignati e film sull’adolescenza, una riflessio
Capita spesso, dopo avere visto un film o assistito a un dibattito che tematizza il mondo adolescenziale, che qualcuno affermi che i giovani di oggi siano più esposti a certi comportamenti giudicati a rischio rispetto ai giovani della generazione precedente: e che, in fondo, i problemi degli adolescenti di oggi siano ben più gravi di quelli degli adolescenti di ieri. I comportamenti che finiscono sotto la lente critica sono generalmente legati al sesso, all’uso di alcol o di altre sostanze, o ad altre pratiche motivate dalla risposta adrenalinica associata alla velocità, al dolore e allo stordimento psico-fisico. Si tratta, nel complesso, di una serie di pratiche più o meno ritualizzate che cementano l’appartenenza al gruppo, descritte molto bene in alcune pagine del recente saggio ‘Fuggire da sé’ (Raffaello Cortina, 2016) dell’antropologo David Le Breton. Un assunto assai diffuso vuole, infatti, che la pervasività, l’impatto culturale incontrastato, e l’effetto ipnotico dei social media facciano sì che gli adolescenti di oggi siano più pronti che mai a mettere in gioco la loro salute, il loro equilibrio mentale, e la loro moralità. Ragionamenti di questo tipo, tuttavia, non rappresentano una novità: già presso gli antichi, e senza che ci fossero di mezzo i social media, circolavano idee circa abitudini poco salutari della gioventù. Sembra infatti che Socrate abbia detto che “la nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quando un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori”. Un’incisione su un vaso dell’antica Babilonia risalente addirittura al 3000 a.C. riporta, poi, quanto segue: “Questa gioventù è marcia nel profondo del cuore. I giovani sono maligni e pigri, non saranno mai come la gioventù di una volta; quelli di oggi non saranno capaci di mantenere la nostra cultura”. Ci sarebbero molti altri esempi da portare,
ma credo che il concetto sia piuttosto chiaro.
Adolescenti sempre più ribelli
Secondo la logica che vuole che gli adolescenti rappresentino l’avanguardia dell’insolenza e dell’indisciplina, l’impressione odierna è che, con l’avvento dei social media, essi siano sempre più ribelli e sempre meno affidabili, e che l’autorità parentale e il ruolo protettivo degli adulti siano meno incisivi che in passato. Ricordo che tale impressione emerse in modo piuttosto chiaro in occasione di un recente dibattito – nel contesto di una rassegna di cinema svizzero proposta dai Circoli del cinema del Ticino – in seguito alla proiezione di ‘Amateur Teens’ di Niklas Hilber (2015). Il film, come suggerisce la scheda nel programma dei Cineclub, racconta la storia di “un gruppo di adolescenti quattordicenni in una scuola secondaria di Zurigo: giovani del tutto ordinari alla ricerca di amore e accettazione. Ma il potere dei social media con i loro selfies brillanti e la continua pressione per essere più cool e più sexy li spingono a rinnegare sempre più i loro veri sentimenti. Una tragedia in cui la frontiera tra responsabili e vittime, colpevolezza e innocenza finisce per diventare invisibile”. Complice forse la carica emotiva che il film doveva aver smosso, il dibattito che seguì la proiezione si svolse in modo un po’ disordinato, e non mancò di suscitare reazioni molto personali, a tratti polemiche, e quasi mai veramente distaccate. La pellicola aveva indubbiamente destabilizzato più di una persona nel folto pubblico, e le voci che si levavano sembravano, almeno in parte, esemplificare l’assunto di cui si diceva prima: ovvero, che gli adolescenti di oggi navigano in acque decisamente più burrascose rispetto ai loro predecessori. Inoltre, alcune osservazioni a caldo sembravano tenere poco conto del fatto che si trattasse di una fiction, quindi di una narrazione che elaborava uno sguardo particolare sui giovani ma che, pur rivendicando una certa rappresentatività, non poteva certo avere l’ambizione di cogliere l’adolescenza nel suo insieme. La rappresentatività, semmai, riguardava una frazione della popolazione adolescenziale, non la popolazione in toto che, va detto, nell’insieme può adottare comportamenti anche molto diversi da quelli mostrati nel film.
Qualche riflessione
Sebbene il film di Niklas Hilber affrontava a viso aperto l’intreccio di fenomeni quali i social media, l’adolescenza, la sessualità e il rapporto genitori-figli, mettendone in evidenza – in modo comunque soggettivo – alcune possibili derive, mi venivano in mente altri tre film che, in anni recenti e prima dell’avvento dei social media, dipingono un quadro tendenzialmente più destabilizzante del mondo adolescenziale. Mi riferisco a ‘Kids’ (1995) e ‘Ken Park’ (2002) di Larry Clark e a ‘Thirteen’ (2003) di Catherine Hardwicke. Tre film che – oltre ad essere piuttosto noti al grande pubblico – con lo svizzero Amateur Teens condividono una certa pretesa di rappresentatività nel ritrarre una particolare generazione di adolescenti. Detto ciò, sono pure convinto che, se oggi parlare con una certa lucidità del rapporto fra i giovani e i social media sia tutto fuorché semplice, d’altro canto ciò rappresenta un’occasione di fronte a cui non ci si può ritrarre. Tuttavia, quando ci si ritrova, in maniera spontanea oppure programmata (come è stato il caso del dibattito a cui alludo e di altri simili), a parlare di adolescenti, dei problemi e dei rischi connessi con un’età che costituisce al tempo stesso una fase di transizione, un processo di crescita, e una tappa preliminare della costruzione dell’identità adulta, gli adolescenti sono troppo spesso assenti: non prendono parte al dibattito, e non possono arricchirlo con le loro considerazioni. Questa lontananza dal centro del dibattito traduce la loro posizione di subalterni nella società: giuridicamente, economicamente e culturalmente gli adolescenti dipendono, almeno in parte, dagli adulti, e per questo è difficile che accedano pienamente a una presa di parola riconosciuta. L’assenza dei giovani da molti dei luoghi in cui avviene un dibattito su di loro è dunque direttamente proporzionale, o strutturalmente omologa, alla precarietà giuridica, economica e culturale che li contraddistingue rispetto agli adulti. D’altra parte, viviamo in una società in cui tutto sembra disponibile e accessibile nell’immediato, tanto che ci sembra agevole poter esprimere una valutazione critica dei giovani e del rapporto ambivalente che hanno con i social media. Ci sembra fin troppo facile individuare negli schermi che pervadono lo spazio fino a saturarlo, e che sembrano stregati, ipnotici, e ubiqui, il motore dell’accresciuta insolenza e indisciplina degli adolescenti. Ma attenzione: ricordiamoci che il termine schermo – anche se sembra banale dirlo –, rinvia a più significati distinti l’uno dall’altro ma che risultano, in qualche modo, relazionati o relazionabili fra loro. Come dimenticare che il termine schermo vuole anche dire riparo, protezione, difesa, e scudo? Quindi, anche possibilità di occultare, di rendere invisibile, indisponibile allo sguardo. Per i giovani, gli schermi possono essere degli scudi simbolici che usano per nascondersi dagli adulti, per occultare ciò che fanno e ciò che pensano veramente. Lo schermo, poi, non è solo riparo, protezione, difesa, e scudo: lo schermo degli smartphone può diventare fin troppo facilmente uno specchio, e fungere da supporto per un rapporto narcisistico in cui la visione lucida del reale naufraga nell’ideale, lasciando spiazzati coloro che a partire dagli schermi vorrebbero cogliere qualche verità sui giovani. E, last but not least, ricordiamoci che lo schermo (quello del cinema, per esempio) è anche una superficie di grandezza variabile su cui vengono proiettate immagini fotografiche o cinematografiche. Ma gli schermi non servono solo a proiettare le immagini: mentre guardiamo un film, sullo schermo finiamo per proiettare anche i nostri dubbi, le nostre paure, i nostri pregiudizi e le nostre convinzioni. Perché, secondo voi, la psicologia parla con così tanta insistenza di proiezioni mentali e della facilità con cui queste distorcono il nostro rapporto con il reale? Non è che, forse, a non starci attenti, finiamo per proiettare sugli adolescenti il nostro sguardo, il nostro linguaggio, privandoli del loro?
In conclusione
Ogni epoca, pur inserendosi in una certa continuità con ciò che la precede, ha il suo sguardo critico sull’adolescenza, ed è facile cadere nella trappola dell’adagio convenzionale secondo cui niente è più come prima, e che oggi è peggio di ieri. Occorre perciò considerare come i comportamenti a rischio assunti dagli adolescenti (quelli che possono arrecare loro danni significativi, e che mettono in pericolo il loro equilibrio psico-fisico) prendono delle forme che sono proprie alle generazioni che li manifestano, senza per questo essere radicalmente diversi da comportamenti esibiti in passato. Ciò non deve quindi indurci a scivolare in facili tentazioni, come capita oggigiorno quando si vede nella proliferazione di schermi l’origine ultima del malessere adolescenziale odierno. Per sviluppare uno sguardo lucido e veramente critico, occorrerebbe identificare questi schermi non tanto come causa prima, quanto piuttosto come parte di un dispositivo in cui lo sguardo che si volge all’adolescenza non è mai univoco e definitivo, ma è molteplice, parziale e mutevole.