Alita, fantascienza come una volta
È un bel film, ‘Alita’. Un po’ a sorpresa, perché certo dietro il film diretto da Robert Rodriguez c’è un nome che non può che rassicurare i cinefili: James Cameron, produttore e sceneggiatore del film tratto dal manga di Yukito Kishiro. Ma a guardare i trailer, con indecifrabili scene di combattimento cyberpunk e Christoph Waltz che gigioneggia, qualche timore era normale averlo. E invece abbiamo un bel film (nonostante Christoph Waltz, che non gigioneggia solo nel trailer). Iniziamo dall’ambientazione: siamo nel 26esimo secolo, trecento anni dopo la Caduta, una devastante guerra interplanetaria che ha distrutto tutte le città sospese tranne una, Zalem, sotto la quale si è raccolta l’umanità sopravvissuta. È in questa Città di ferro, la cui popolazione – in parte con impianti cibernetici – vive all’ombra dell’irraggiungibile Zalem, che si svolge il film. Uno scenario, questo delle due città, che dà una dimensione fiabesca a temi cari alla fantascienza come l’uso sconsiderato della tecnologia, il rapporto uomomacchina, la ricerca della propria identità. Già, perché Alita (una brava Rosa Salazar dagli occhi digitalmente ingranditi) è un cyborg senza memoria, ritrovato in una discarica dal dottor Dyson Ido (il già citato Christoph Waltz). Alla ricerca di una propria identità Alita trova l’amore in Hugo (un sopportabile Keean Johnson) ma soprattutto scopre di avere incredibili abilità marziali. Proprio le scene di combattimento, che un po’ avevano preoccupato nel trailer, risultano fluide e appassionanti, anche grazie al bel 3D. Finale aperto a eventuali sequel.