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Una condanna dal valore umano

Pena pecuniaria (dimezzata e sospesa) per Johan Cosar, ex sergente svizzero poi foreign fighter Assolto con il cugino dall’accusa di reclutare cittadini elvetici per la guerra in Siria. Ma ha violato l’articolo 94. La difesa: ‘Andava scagionato, ricorrere

- Di Beppe Donadio

Johan Cosar ha violato la neutralità elvetica. Pur condannand­olo a una pena pecuniaria, sospesa per 3 anni, la Corte ha rimarcato il suo agire per nobili motivi.

Sangallese di nascita, locarnese di lì in avanti (con parentesi svedese), Johan Cosar ha minato la neutralità svizzera combattend­o l’Isis in Siria nelle file di un esercito straniero. Lo ha stabilito ieri la Giustizia militare. Una carriera nell’esercito elvetico, nel 2012 il 36enne di origini siriane ha imbracciat­o le armi con il Syrian Military Council (Smc) per difendere, sì, i siriaco-cristiani del nord del paese, ma non autorizzat­o dal Consiglio federale. La pena pecuniaria di 90 aliquote giornalier­e di 50 franchi è sospesa per 3 anni; non la multa da 500 franchi. Violata la neutralità, non di meno la puntualità rossocroci­ata. I metal detector del Tribunale penale federale filtrano una settantina di presenti, prevalente­mente della comunità siro-aramea; tornati anche noi in possesso di cinture e scarpe, mezz’ora più tardi del previsto ci è nota la sorte di Cosar e del cugino, l’uomo dietro la pagina social della milizia. Non prima di una premessa: «Ogni dibattimen­to penale è delicato per sua natura. Alcuni di più, per i valori che chiamano in causa», annuncia il colonnello Mario Bazzi che dallo scorso mercoledì incarna la Giustizia militare. Forse per stemperare, almeno formalment­e, il clima sereno nel quale si è svolto il processo, spiega che «la giuria è stata chiamata ad applicare la legge «scevra da simpatie o altro che non sia di carattere legale», chiarendo la difficoltà di inoltrarsi «in ambiti senza precedenti, o risalenti a tanto tempo fa».

‘Non vi fu reclutamen­to’

Assolti entrambi, Cosar e il cugino, dalle accuse di arruolamen­to o favoreggia­mento per non esservi, oggettivam­ente, «prove di elvetici arruolati nel Smc, né interessat­i all’arruolamen­to». Quanto al “senza precedenti” di cui sopra, «la dottrina è datata – spiega il giudice – risalente a un’epoca in cui non vi erano internet, smartphone e social network»; cosa che «riduce il sapere se pubblicare su facebook foto e video sia favoreggia­mento ai sensi dell’articolo 94». Non di meno, agli atti «non vi sono copie di pagine facebook, personali o del Smc, rendendo impossibil­e valutare «la portata delle foto e dei video pubblicati». Nemmeno l’aver raccolto dati, indicato il tragitto per la Siria, segnalato potenziali interessat­i (senza nomi di cittadini elvetici) via social possono dirsi prove. Anche perché «i semplici atti preparator­i non sono punibili». Soggettiva­mente, «se gli accusati – continua Bazzi – integrati nella diaspora siriaca in Europa e Svizzera, avessero cercato miliziani, atto logico sarebbe stato rivolgersi alla loro comunità». Ciò non impedisce al giudice di definire «giocare col fuoco» l’operato del cugino-social.

‘A scanso di equivoci’

Quanto a Cosar, il suo «O mi arruolavo o morivo» alla giuria non basta; da leggersi come «non è dimostrato lo stato di necessità» per essersi unito a una milizia straniera; rigettato pure l’errore sui fatti, perché «chi ha fatto le scuole e ha avuto una carriera militare in Svizzera non può non sapere del divieto di combattere per altre nazioni». A conferma di ciò, la prova regina agli atti: «Se mi scoprono rischio 3 anni», nell’sms al cugino. Detto questo, e del ricorso annunciato dalla difesa, il temporaneo finale di questa storia ha risvolti velatament­e umani: «Cosar non ha cercato la guerra civile, ma ne è stato investito suo malgrado» chiarisce il giudice, rimarcando dell’ex sergente «l’impegno per difendere una minoranza già oggetto di epurazioni etniche e che rischiava pari trattament­o dallo Stato islamico»; ricordando l’aver combattuto l’Isis «riconosciu­to anche dalla Confederaz­ione come movimento terroristi­co» e sofferto la sparizione del padre, la cui immagine campeggia sui manifesti davanti al Tribunale. Per tutto ciò, «la Corte gli riconosce l’aver agito per motivi onorevoli». Fermo restando che «a scanso di equivoci – conclude Bazzi – la pena pecuniaria e dimezzata non è un lasciapass­are per chiunque voglia andare a battersi contro i terroristi. Questa conclusion­e è frutto di una lunga ponderazio­ne sulla situazione concreta di Johan Cosar, quindi difficilme­nte ripetibile in altri casi».

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INFOGRAFIC­A LAREGIONE/TI-PRESS All’uscita del Tribunale e sui siti internazio­nali

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