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Fra pane e piombo

Venezuela, Maduro non intende aprire le frontiere agli aiuti promessi entro oggi dall’opposizion­e Scontri armati (e concerti) sui confini alla vigilia del giorno X. Guaidó preme, il regime chavista denuncia un presunto ‘cavallo di Troia’ americano.

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Caracas – Oggi è il giorno X: quello annunciato da Juan Guaidó per l’arrivo degli aiuti umanitari internazio­nali in un Venezuela ridotto da tempo alla fame. E mentre cibo e medicinali scarseggia­no, la tensione resta altissima ai confini del Paese, militarizz­ati e sigillati dal presidente Nicolas Maduro. L’esercito sembra per ora restare fedele al leader chavista: ieri non ha esitato a sparare, uccidendo almeno due indigeni Pemon e ferendone una dozzina al confine con il Brasile. Al confine con la Colombia invece – il principale e simbolico punto di accesso dove ha annunciato la sua presenza anche il presidente autoprocla­mato Guaidó – si è alzata la musica del concerto per un ‘ponte di speranza’ voluto dal fondatore di Virgin Richard Branson. Ma il rischio che la situazione degeneri resta reale. Le Forze Armate “sono dispiegate su tutto il territorio nazionale per garantire la pace e la difesa integrale del Paese”, ha proclamato Maduro su Twitter. Durante lo scontro coi Pemon a Kumarakapa­y, piccola località a poca distanza dalla frontiera con il Brasile, i militari hanno aperto il fuoco contro un posto di blocco degli Aretauka, la forza di sicurezza indigena che cercava di fermarli. Nonostante morti e feriti, gli indigeni hanno catturato vari militari, fra i quali un generale della Guardia nazionale accusato di aver “comandato il tragico attacco”. La frontiera con il Brasile, chiusa da Maduro, è stata riaperta per qualche istante per permettere che passassero gli indigeni feriti, visto che negli ospedali locali mancavano le medicine per curarli. Anche in quell’occasione si sono registrati, se non veri e propri scontri, tafferugli e momenti di tensione. La Guardia Nazionale ha anche cercato di impedire che un convoglio di deputati oppositori, partito giovedì da Caracas, arrivasse fino alla frontiera con la Colombia per accogliere domani gli aiuti umanitari. Durante il percorso, di circa 800 km, i deputati hanno dovuto superare vari ostacoli e posti di blocco. Guaidó e i suoi sostenitor­i intendono giungere entro oggi nello Stato di Tachira, dove hanno annunciato quattro punti per la raccolta degli aiuti – attualment­e depositati a Cucuta – il principale dei quali è sul ponte di Las Tienditas. È su questo ponte che oggi è andata in scena la sfida di concerti fra i pro e gli anti Maduro: sul versante colombiano, il ‘Venezuela Aid Live’ organizzat­o da Richard Branson con grandi nomi della musica latina, e su quello venezuelan­o “Hands Off Venezuela” (giù le mani dal Venezuela), lo spettacolo annunciato dal governo di Caracas, seppure con artisti meno noti. Oltre all’invio di rinforzi militari sul confine con la Colombia, Maduro

In attesa di consegna

ha anche ordinato la chiusura totale del ponte, e durante la notte soldati venezuelan­i hanno saldato alla sua struttura i container che nei giorni scorsi avevano installato sulle corsie per impedire il traffico fra i due Paesi. Resta poco chiaro, dunque, come faranno i volontari di Guaidó ad attraversa­re i confini con Brasile e Colombia per andare a raccoglier­e l’assistenza umanitaria che Maduro respinge, negando l’emergenza e liquidando il tutto come uno “show mediatico” creato per camuffare un intervento militare degli Stati Uniti in Venezuela. Russia, Cina e Bolivia, intanto, hanno ribadito il loro messaggio indirizzat­o principalm­ente agli Usa di Donald Trump: “Gli aiuti non siano usati come alibi per un attacco”, come un “cavallo di Troia” per mascherare un intervento militare, scenario esplicitam­ente denunciato da Mosca. Troia o no, quello degli aiuti a trenta milioni di abitanti è un cavallo che deve galoppare veloce.

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KEYSTONE

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