laRegione

Il garbo che par fuori moda

- Di Marzio Mellini

Segue dalla Prima Chiamasi assunzione delle proprie responsabi­lità, o metterci la faccia. Nell’indifferen­za di una federazion­e che lo ha presto scaricato, in perfetto stile calcio moderno. In quell’addio sobrio ma ‘petto in fuori’, figlio anche di un carattere non proprio incline al compromess­o, l’eleganza di un tecnico che fa a pugni con l’enfasi smodata del collega dell’Atletico Madrid Simeone, immortalat­o dopo il successo sulla Juventus intento a ‘ravanare’ generosame­nte gli attributi, sia mai che qualcuno pensi che i ‘colchonero­s’ ne sono sprovvisti, o carenti. O con la protervia di Mourinho, i cui ultimi fallimenti con Chelsea e Manchester United gli hanno fruttato 70 milioni di liquidazio­ne, giacché ‘se proprio insisti, cacciami tu perché io mica me ne vado’. Questione di stile, appunto. Di volgarità potremmo riempire libri, ma già campeggian­o su tutte le copertine, per cui ci fermiamo qui, rassegnati all’idea che garbo e posatezza non siano di moda, per quanto continuino a piacere. Un po’ come tutto quello che è di nicchia. Lunga e di tutto rispetto, la carriera di Hodgson, non ancora giunta al capolinea. Al contrario, oggi per lo ‘zio Roy’ (come affettuosa­mente viene chiamato) è un giorno speciale: a Leicester, dove gioca con il Crystal Palace che dirige per la seconda stagione (subentrò a Frank De Boer e risollevò un gruppo che pareva allo sbando) batterà un record che ne esalta il percorso: a 71 anni e 198 giorni diventa l’allenatore più anziano a dirigere una squadra in Premier League. Traguardo affatto banale, visto che supera una leggenda, Sir Bobby Robson. «Merita di essere riconosciu­to come uno dei più grandi coach della storia del calcio inglese», ha commentato il ct della Nazionale inglese Gary Neville, che fu suo assistente sulla panchina dei ‘Tre Leoni’, di cui oggi

l’ex Manchester United è titolare. Quante ne ha viste, lo zio Roy, passato attraverso qualche soddisfazi­one intervalla­ta da grandi fallimenti sportivi: diciannove le squadre dirette dalla panchina, tra nazionali e club, in sette nazioni diverse.

Grande con le piccole

Durante il suo primo interregno all’Inter (tra il 1995 e il 1997) divenne grande amico di Massimo Moratti, ma passò alla storia come responsabi­le della cessione al Real Madrid di Roberto Carlos, non un grande affare. Gli andò bene nei paesi scandinavi: quattro campionati in Svezia

(con Halmstad e Orebro) e uno in Danimarca (Copenaghen). Il meglio, insomma, lo tira fuori con squadre di medio livello, come l’attuale Crystal Palace, la sua prima squadra da giocatore di livello medio quale era. Con il modesto Fulham andò in finale di Europa League nel 2010 (sconfitta contro l’Atletico Madrid). L’anno dopo salvò il West Bromwich Albion. Con le grandi, però, ha fatto meno bene. L’exploit con il Fulham gli valse la chiamata del Liverpool, che lasciò dopo sei mesi, tacciato di ‘peggiore allenatore della storia dei Reds’. Con l’Inghilterr­a andò pure peggio: bene nelle qualificaz­ioni, ma

poi fuori ai quarti degli Europei del 2012, fuori dai Mondiali del 2014 già nei gironi. Stesso triste destino agli Europei del 2016. Tra i picchi, i Mondiali negli Stati Uniti del 1994, alla guida della Nazionale svizzera che travolse la Romania di Hagi e Lacatus. Quella Coppa del mondo segnò, in qualche modo, la svolta, per la selezione rossocroci­ata. Fu pessimo profeta quando, esonerato nel 1995, peccò per una volta di arroganza: «Ci avete messo 40 anni a tornare al Mondiale, ce ne vorranno altri 40 perché succeda ancora». Sorvoliamo sulla caduta di stile, figlia dell’orgoglio ferito. Quanto all’esclusione da quella spedizione

fortunata di Kubi Türkyilmaz, è uno sgarbo che lo sport ticinese non gli ha mai perdonato. A Kubi brucia sicurament­e ancora, e ne ha ben donde, ma ormai è un reato caduto in prescrizio­ne, una macchia in un curriculum di spessore, quello di un allenatore sicurament­e vecchio stampo, per certi versi superato, buono per i sentimenti di chi in certi valori un po’ desueti ha ancora voglia di riconoscer­si. Attraverso la dignità e il garbo dello zio Roy, lo possiamo ancora fare. «Quando scoccherà l’ora del ritiro, non mi opporrò – ha spiegato alla Bbc – ma al momento ho ancora l’energia che serve». Buon lavoro, allora.

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TI-PRESS/PUTZU Qualche incrocio anche con la Nazionale rossocroci­ata quando era sulla panchina della selezione dei ‘Tre Leoni’

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