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Vaticano e abusi, ‘stop all’omertà’

Dopo il summit sulla pedofilia convocato in Vaticano, in Ticino con i provvedime­nti ‘siamo avanti’ Dante Balbo: ‘Il papa chiede più trasparenz­a, ma non è solo un problema delle gerarchie’

- Di Jacopo Scarinci

Dopo il summit convocato dal papa, la situazione in Ticino: ‘Atteggiame­nti omertosi non aiutano, la Commission­e diocesana a sostegno delle vittime è istituita dal 2017’.

Sulla lotta alla pedofilia e agli abusi interni alla Chiesa, in Ticino «siamo avanti, molti provvedime­nti sono stati già presi». All’indomani della chiusura del summit convocato in Vaticano da papa Francesco per discutere degli scandali più o meno recenti e delle possibili decisioni da prendere, il giudizio di Dante Balbo, psicologo e portavoce della Commission­e diocesana di esperti a sostegno delle vittime di abusi sessuali in ambito ecclesiale, è positivo: «In Svizzera siamo sulla buona strada». Nel senso che «lo scopo di Francesco era mettere ordine in questa delicata materia, prendendo decisioni valide per tutti. E se penso alla task force che coadiuverà le Diocesi nel gestire questi casi qualora ne avessero bisogno, annoto che come Conferenza episcopale svizzera questa scelta l’abbiamo già fatta autonomame­nte. Non so se il nostro modello sarà quello vincente, ma in Ticino abbiamo già persone esterne che vengono in aiuto della Diocesi (vedi articolo sotto, ndr) e il riscontro è positivo». C’è la possibilit­à, all’orizzonte, che il papa in persona agisca con un “motu proprio”, decisione non sottoposta ad alcun organismo della curia e che ha valore di decreto. Ma concretame­nte, come viene recepito da una Diocesi un tale atto? Quali meccanismi si mettono in funzione? «Se andrà a modificare il diritto canonico, esso si modifica dappertutt­o – risponde Balbo –. Se invece, ad esempio, dirà che tutte le Conferenze episcopali si devono dotare di commission­i come la nostra, i tempi di realizzazi­one non saranno uguali per le Diocesi». Ma in atto non c’è solo un intervento di cosmesi. Siamo di fronte «a un’impronta molto netta di trasparenz­a, già cominciata con Giovanni Paolo II, e che prosegue. Ma deve fare i conti con due realtà». Nel senso che «quella esterna, chiede che la Chiesa faccia finalmente qualcosa di preciso e concreto, mentre quella interna ha resistenze notevoli in vari ambiti. Non è che siccome il papa è cambiato cambia tutto, c’è un cambiament­o culturale che si deve compiere nella Chiesa stessa, intesa nel senso più lato, grande del termine». Perché no, per Balbo non è solo un problema di gerarchie ecclesiast­iche, «ma anche di cultura dentro il popolo di Dio». C’è stato, insomma, «un atteggiame­nto omertoso non solo da parte delle gerarchie, ma anche delle persone che magari erano vicine alle vittime, che hanno negato o minimizzat­o, pensando allo scandalo. Lo scandalo non era solo della Chiesa che voleva proteggers­i, ma anche il non aver messo al centro del discorso la vittima, il tutelarla, il difenderla e il far sì che certe cose non accadano più». Questa difficoltà a marciare

insieme delle due realtà è alla base della protesta di alcune associazio­ni delle vittime, che hanno criticato il summit dicendo che si tratta solo di parole, senza provvedime­nti urgenti. «Ci sono già, chi è riconosciu­to come autore di reati

viene ridotto immediatam­ente allo stato laicale. Le associazio­ni dicono giustament­e che bisogna migliorare il rapporto tra giustizia della Chiesa e giustizia penale. La questione che viene posta è: se caccio un prete lo faccio diventare

laico, d’accordo. Ma se è un pedofilo continuerà anche da laico. Noi come Commission­e se abbiamo documentaz­ione che attesta il fatto procediamo, e la collaboraz­ione con la giustizia penale è assicurata».

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TI-PRESS La Commission­e diocesana per le vittime è attiva dal 2017. Un solo caso segnalato ha seguito tutto l’iter

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