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In politica come in guera, püsée ball che tèra

- Di Piero Marchesi, candidato Udc al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio

Segue da pagina 20 (...) disquisire di mille altre soluzioni, come quella del salario minimo anch’esso votato dal popolo ticinese, che però prevedeva una proposta ben differente da quella ora in discussion­e. I ticinesi hanno chiesto salari minimi differenzi­ati definiti per ogni categoria di lavoratori e non un’unica soglia uguale per tutti. Sia io che il mio partito eravamo contrari all’iniziativa “Salviamo il lavoro in Ticino” perché senza la preferenza indigena ci sarà sempre un frontalier­e pronto a lavorare per il salario minimo quando invece la posizione richiedere­bbe uno stipendio più alto di quello definito, ma per noi quanto ha deciso il popolo è da applicare. Il salario minimo darà però una risposta solo per i salari bassi. Con una retribuzio­ne minima di 3’500 franchi mensili si agirebbe solamente sul 9% dei salariati, gran parte dei quali frontalier­i. Il beneficio di questa misura toccherebb­e i ticinesi solo marginalme­nte – sono infatti pochi quelli che sono ora impiegati sotto questa soglia –, sarebbero molti invece i ticinesi colpiti dagli effetti nefasti del salario minimo. Senza la preferenza indigena un’azienda potrebbe per esempio cercare un’assistente di direzione, con buone conoscenze delle lingue, capacità organizzat­ive e con provata esperienza e offrire uno stipendio di 3’500 franchi al mese – più di 20 franchi all’ora –, la tariffa minima chiesta dalla sinistra. A queste condizioni una ticinese rifiutereb­be, una frontalier­a accettereb­be invece senza indugi perché percepireb­be il triplo di quanto otterrebbe a Varese o a Como per la stessa posizione. Per questo posto di lavoro lo stipendio corretto sarebbe invece di almeno 5’500 franchi al mese, 31 franchi l’ora. Ecco perché il salario minimo senza la preferenza indigena finirà per penalizzar­e i ticinesi. Per salvare davvero gli stipendi in Ticino abbiamo solo due possibilit­à, una svalutazio­ne del franco parificand­o il costo della vita a quello dell’Italia e dei Paesi dell’Ue – proposta irrealizza­bile perché causerebbe uno shock ai capitali e alla finanza svizzera – o meglio, reintrodur­re quei paletti che in passato hanno dato prova di funzionare e che impedivano, o quantomeno limitavano l’effetto sostituzio­ne, il dumping e l’imbarbarim­ento del mercato del lavoro. Questi paletti si chiamano tetti massimi, contingent­i e preferenza indigena, strumenti che il popolo svizzero aveva già deciso di reintrodur­re il 9 febbraio 2014 e che gli stessi partiti che oggi vedono in Prima i nostri una possibile soluzione, ne avevano invece bocciata l’applicazio­ne. Cari ticinesi, si dice che “in politica e in guera püsée ball che tèra”, soprattutt­o durante la campagna elettorale, ma dovrebbe essere chiaro a tutti chi si è sempre battuto per mettere i ticinesi e gli svizzeri davanti a tutto e chi, passate le elezioni, tornerà a occuparsi di tutt’altro.

Le opinioni dei candidati al Gran Consiglio (in esclusiva, 3mila battute) su

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