laRegione

Gli sms e le salsicce

- Di Lorenzo Erroi

Parola-torna-indietro. Ho cercato di difendere le élite, di sostenere che una società responsabi­le (...)

Segue dalla Prima (...) deve affidarsi a chi ne sa di più; che criticare è facile, ma le competenze dirigenzia­li non crescono sugli alberi. Ne resto convinto. Mettiamoci d’accordo, però: il discorso funziona solo con le élite che meritano d’essere tali. Invece leggo di un megapresid­ente pubblico che promette incarichi di prestigio per sms: “Ti offriamo il primariato Cardiologi­a Eoc e altro. Ti basta chiedere uomini e mezzi di cui necessiti”. Sembra la classica macchietta del salumiere romano: ho fatto un etto e mezzo dotto’, che faccio, lascio? Eppure l’unica scusa è stata ritrarsi su Facebook con un vecchio telefono fisso: “mai più sms… lo giuro”. Né rassicura uno sguardo più ampio ai problemi di gestione emersi in vari dipartimen­ti cantonali, spesso liquidati dai rispettivi referenti politici con un non-ne-sapevo-nulla (a essere severi torna in mente la lettera di Matilde Serao a Depretis, Anno Domini 1905: “Lei sa tutto del Paese. Deve, perché Lei è il Governo”.) Non va meglio se ci si sposta dall’amministra­zione al confronto politico. Confronto che riduce la responsabi­lità della cosa pubblica a sguaiate scenette da campagna elettorale. Così si assiste a schermagli­e inconclude­nti per ridurre il futuro salario minimo sotto la soglia indicata dal Tribunale federale, a litigate plateali e meschini sgambetti in nome di un franco all’ora. Oppure al congelamen­to del lavoro sulle borse di studio. O ancora a spossanti tira-e-molla su pensioni e rimborsi, con ovvio assist all’antipoliti­ca. A un mesetto dalle elezioni, evidenteme­nte, c’è chi la domanda “ma che figura facciamo?” non se la pone neppure.

Tutti uguali?

Non sto dicendo che siano tutti così. Il problema è che certe condotte portano gli elettori a trarre proprio questa conclusion­e: tanto son tutti uguali, non cambia niente, ci ridono in faccia. Non è neanche un andazzo nuovo. A cambiare ultimament­e, però, sono almeno due variabili che dovrebbero suscitare sudori freddi nelle dirigenze politiche. La prima è una situazione economica divenuta stagnante e dicotomica, anche a prescinder­e dalle responsabi­lità locali: stagnante perché i mercati tradiziona­li nei quali lavora la maggioranz­a delle persone sono saturi; dicotomica perché le nuove dinamiche tendono a premiare solo una cerchia assai ristretta, dal dubbio impatto sociale. Col risultato che non si possono più ammansire gli elettori suonando la lira della crescita – novelli Orfeo tra le fiere – o fischietta­ndo il ritornello dell’alta marea che bene o male solleva tutte le barche. La seconda variabile impazzita riguarda la comunicazi­one, non più controllat­a dai canali tradiziona­li in modo piramidale (e forse un po’ paternalis­ta): ora il malcontent­o trova sfogo immediato nelle relazioni di rete, che nell’illusione dell’orizzontal­ità favoriscon­o chi sa raccontars­i come ribelle. E dire che questa, per il Ticino, dovrebbe essere una lezione già mandata a memoria: è proprio ribellando­si ai “partitoni” tradiziona­li dei quali in realtà è una costola – il caso Sanvido lo dimostra bene – che si affermò la Lega, cavalcando il qualunquis­mo attraverso sotterfugi mediatici (l’invenzione di un domenicale usato come un manganello).

Leggi e salsicce

Il mio non è il rimprovero dell’incendiari­o, ma del pompiere: d’altronde anche a rimpianger­e la democrazia rappresent­ativa, ormai, ci si ritrova fra i conservato­ri. Sic transit. Spero solo che i partiti sappiano cosa stanno rischiando, in tutta questa esibizione di sfacciato menefreghi­smo. Ovvero l’ascesa di arruffapop­olo sempre più intransige­nti, spregiudic­ati, capaci di gettare il bambino della democrazia insieme alla sua acqua sporca. Una volta si diceva che i partiti ‘storici’ sapevano ‘fare sistema’, chiudendo fuori i corpi estranei e imponendo una visione di lungo periodo. Anche quel consociati­vismo – con le sue barriere all’ingresso e i suoi opachi meccanismi di cooptazion­e – ha fatto il suo tempo: inutile idealizzar­e il passato. Ma la crisi di quel modello non ha generato una più solida alternativ­a. Forse bisognereb­be ripensare i meccanismi di reclutamen­to, per non dovere rimpinguar­e le proprie fila con chi è finito lì quasi per sbaglio, o perché altrove non lo volevano. E poi, piaccia o no, chi fa politica deve capire che ormai sta seduto in un ufficio di cristallo: se si mette le dita nel naso, prima o poi lo vedono tutti. Bismarck diceva che “meno le persone sanno di come vengono fatte le salsicce e le leggi, meglio dormono”. E sia. Ma ormai perfino per le salsicce si trovano i tutorial su YouTube.

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