laRegione

C’è pure un’Europa dei valori

- Di Silvano Toppi

Di alcuni temi-problemi si evitano aspetti sostanzial­i perché guasterebb­ero il modo predominan­te di pensare. Ci sono in tal modo identifica­zioni parziali che diventano di piombo: pesanti, immutabili. Due esempi, solo apparentem­ente diversi, di cui si discute di questi tempi. L’Europa è identifica­ta nell’Unione europea, Bruxelles, burocrazia, confusione, impediment­o, arroganza, scarsa democrazia, con in più la drammaturg­ia della Brexit o del sovranismo. Esiste però anche come economia, commercio, finanza, banche, contributi per la ricerca. Può essere utile, interessar­e, vanno cercati accordi quadro. Tuttavia con la supposta condizione che siamo noi ad essere utili e indispensa­bili all’Europa. L’Europa è quindi essenzialm­ente Unione europea, corpo economico senza anima, possibilit­à di affari commercial­i e finanziari, libertà di mercato senza intralci, ad eccezione di quelli che possono infastidir­ci (la libera circolazio­ne delle persone, liberalizz­azione del mercato agricolo, trappole fiscali, regole bancarie). Una identifica­zione doppiament­e ingiusta e impoverent­e: dapprima perché l’Europa non è e non può essere solo economia e interesse economico e non è solo rovina; poi perché, nel contesto geopolitic­o attuale, ridurla così è l’operazione fomentata da chi, dall’interno ma soprattutt­o dall’esterno (Stati Uniti, Russia, Cina) ne vuole l’asservimen­to o il tornaconto politico-economico del suo disfacimen­to. Che sta già avvenendo. E non è utile neppure alla libera e neutrale Svizzera. Non si sente però mai accennare in tutte le discussion­i politiche svizzere sui rapporti con l’Europa – quasi fosse proprietà acquisita oppure idealità superflua o idiozia politica controprod­ucente – di un comun denominato­re di “valori europei”. Un’Europa dei valori da salvaguard­are. Che esiste, da risvegliar­e e insegnare, perché solo su di essa si deve costruire e darsi un’identità che non può essere solo elvetica, dev’essere europea: il rispetto della dignità umana, l’assieme delle libertà fondamenta­li, l’eguaglianz­a di cittadini di fronte alla legge, lo stato di diritto, i principi della democrazia parlamenta­re, la rinuncia alla forza e la preferenza per la soluzione pacifica dei conflitti, la solidariet­à e la ricerca della giustizia sociale mediante lo Stato, una cultura unica nella diversità e feconda. L’Avs è identifica­ta da tempo con il fallimento prossimo venturo. Non ce la farà perché siamo una nazione di vecchi, per via del “rapporto di dipendenza delle persone anziane” (rapporto lavoratori attivi che versano contributi, pensionati che percepisco­no rendite). Forse perché crollerebb­e un’identifica­zione che crea fortune elettorali o che impedisce ancora soluzioni di giustizia sociale nel cantone, non si dice mai che la sovrarappr­esentazion­e degli stranieri nella popolazion­e attiva (il 72 per cento delle personalit­à di nazionalit­à straniera ha un’età tra i 20 e i 64 anni, contro soltanto il 58 per cento della popolazion­e autoctona) non solo ha permesso di rallentare l’invecchiam­ento demografic­o, ma ha largamente contribuit­o ad alimentare finanziari­amente l’Avs. Ed è anche dimostrato che gli stranieri, quelli della libera circolazio­ne, versano nettamente più di quanto ricevono in rendite. Guai a dirlo, soprattutt­o all’Europa.

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