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‘C’è altro, oltre al gioco’

Roland Habisreuti­nger e il Lugano fremono in attesa del via. E i playoff sono pure una questione di testa, non solo di cuore.

- Di Christian Solari

Un nuovo inizio. Dopo una rincorsa che si può tranquilla­mente definire interminab­ile, oltre che estenuante. Per un Lugano dai mille volti. «Il vero problema è che non c’era alcuna regolarità – dice il diesse bianconero Roland Habisreuti­nger –, tra due partite giocate bene, una malissimo, poi un’altra bene, quindi un’altra malissimo... Anzi, addirittur­a ci sono state serate in cui abbiamo visto all’opera un Lugano diverso addirittur­a da un tempo con l’altro. E se all’inizio non vincevamo mai fuori casa, poi abbiamo cominciato a faticare nello spuntarla in casa... Insomma, non si può certo dire che fosse il modo di arrivare con piena fiducia all’appuntamen­to con i playoff». Senza contare, poi, che prima ai playoff bisognava arrivarci: one- stamente, hai mai temuto che non sarebbe successo? «Ero abbastanza convinto che ce l’avremmo fatta fino a quel 5-0 di Zurigo. Quella sera ero fiducioso che eravamo andati all’Hallenstad­ion per vincere, e invece c’eravamo andati soltanto per giocare». Da quel venerdì 22 febbraio, però, il Lugano ha poi perso una sola partita su cinque, quella di sabato a Davos. E non è tutto: nelle ultime undici uscite, cioè dalla fine di gennaio in poi, ha colleziona­to addirittur­a otto vittorie. Addirittur­a meglio di Berna e Zugo, per fare un paragone: «È vero, ma nel frattempo anche le altre squadre facevano i loro punti. In casi del genere, con una classifica tanto serrata può succedere che una sola di quelle partite perse ti riporta allo stesso punto di prima. Mentre in altre stagioni, più ‘normali’, per così dire, quello stesso 5-0 a Zurigo saremmo riusciti a metabolizz­arlo, dicendoci che in fondo sono cose che capitano. Non stavolta, però. Anche perché c’era parecchio nervosismo all’esterno dell’organizzaz­ione, ed è più che comprensib­ile. Tuttavia, situazioni del genere non sono facili da gestire, e pure i giocatori finiscono col confrontar­visi: e quando capita, è logico, in simili situazioni inizi a farti delle domande. Ma il punto è che quando cominci a pensare troppo, poi diventa pesante...».

‘Quella sera a Zurigo ero convinto che ci fossimo andati per vincere, non soltanto per giocare’

Ora, però, quello è il passato. E di nuovo d’ora in poi ci sarà anche il modo di giocare, di affrontare le partite. L’esempio da seguire, però, ce l’avete in casa: è il Lugano degli scorsi playoff. «Per prima cosa, e lo si è visto parzialmen­te lunedì sera, ciò che è importante è che tutto il peso che gravava sulle spalle dei giocatori sia scivolato via. Poi, direi che nei playoff non è il sistema a fare la differenza, bensì tutta una serie di altre cose. Pensiamo solo alla decisiva sfida di lunedì sera tra Ginevra e Zurigo: direi che non ha vinto la squadra che ha il gioco migliore, bensì quella che ha lottato per ogni centimetro ed è scesa in pista con la consapevol­ezza di non poter commettere errori in determinat­e zone del campo. È così che va nei playoff, dove non fai la differenza con dieci bei passaggi prima di segnare un gol, ma ci riesci invece buttandoti sui dischi, giocando in maniera disciplina­ta e sforzandot­i di fare un passo indietro quando vieni provocato». Sarà pure interessan­te capire se e cosa cambierà a livello di lineup, dopo che Fazzini nelle ultime partite ha giocato soprattutt­o in superiorit­à numerica, mentre in difesa Jecker ha scalato le gerarchie approfitta­ndo delle assenze di Riva e Vauclair: «Qual è la loro visione per i playoff, lo sanno soltanto gli allenatori. Ciò che posso dire io è che ora abbiamo almeno la fortuna di avere l’effettivo quasi completo, dopo le molte defezioni dei mesi scorsi: starà a ogni singolo giocatore sfruttare la chance che gli verrà offerta, per cambiare la sua situazione. Ed è chiaro, quando possono andare sul ghiaccio cinque linee complete, nessun compagno ti regala nulla nella lotta per la conquista del posto fisso». Intanto, per il secondo anno di fila (e la dodicesima volta in assoluto), il miglior realizzato­re del Lugano è uno svizzero, siccome dopo Fazzini è la volta di Hofmann. Delle due, l’una: o gli svizzeri sono più bravi, o gli stranieri non segnano abbastanza. «Diciamo che gli stranieri che abbiamo preso non sono stati ingaggiati principalm­ente per segnare, bensì per stabilizza­re il gioco per le due ali, permettend­o loro di praticare un hockey offensivo. In altre parole né Lajunen, né Lapierre sono lì per fare i punti realizzati in passato da altri attaccanti offensivi». E in mezzo a tutti questi discorsi c’è pure un avversario, e si chiama Zugo. Vi soddisfa? «La logica diceva che sarebbe stato Zugo o Berna, e con l’uno o l’altro sapevamo che sarebbe stato difficile. Pur se sono due squadre dalle caratteris­tiche molto diverse: lo Zugo è, a mio modo di vedere, quello che pratica l’hockey più veloce mentre il Berna quello più solido. E direi che per noi, prima di pensare a chi ci sarebbe ‘piaciuto’ affrontare, avevamo qualcos’altro di cui preoccupar­ci...».

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TI-PRESS/GIANINAZZI Zugo o Berna, per il ‘diesse’ bianconero poco cambia. ‘I primi sono i più veloci, i secondi i più solidi...’

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