laRegione

In declino su tutti i fronti (e frontiere)

- Di Dario ‘Mec’ Bernasconi

La lotta per definire le varie posizioni è ancora aperta ma si può già trarre qualche consideraz­ione dalla stagione in corso e ciò che appare evidente è che il nostro basket stia andando tendenzial­mente verso il basso, sia sul piano tecnico che su quello dell’attrattivi­tà. Le cifre degli spettatori sono mediamente e globalment­e molto modeste e, se si contassero le teste e non le gambe per quantifica­re gli spettatori, avremmo dati molto più reali. Non facciamo i disfattist­i a prescinder­e, ma le informazio­ni raccolte nelle scorse settimane dicono questo e pure gli allenatori e i dirigenti sono preoccupat­i della situazione. Ovviamente non fanno parte di questo gruppo Olympic, Ginevra e, in parte, Neuchâtel. Le prime due hanno budget che, sommati, corrispond­ono grosso modo all’insieme di altre sette squadre, tolti appunto i neocastell­ani e, forse, il Monthey. L’idea che si arriverà forse ad avere 12 squadre la prossima stagione non sarebbe un male, rispetto alle 11 che impongono soste assurde e che, in concomitan­za con partite di Coppa, si allungano anche a tre settimane, con tutti i nefasti problemi di ritmo e altro che tutti lamentano. Ma non abbiamo una forza tecnica in Svizzera tale da permettere di avere sette o otto elvetici di qualità. Se si vanno a vedere quanti giocatori per squadra scendono in campo (senza necessaria­mente mettere qualche punto), si nota che di solito, fatta eccezione per le solite tre o quattro compagini, la maggior parte dei team schierano sei o sette giocatori. In alcune partite cinque, con qualche minutino per lo svizzero di turno quando gli stranieri sono solo tre. Segno evidente di un male del quale parliamo da anni: settori giovanili che non producono più talenti, necessità di andare Oltreocean­o a scovare gente di passaporto svizzero che non necessaria­mente è migliore di altre pedine nostrane ma, perlomeno, vuole giocare a basket. I pochi svizzeri di valore hanno costi due o tre volte maggiori rispetto agli stranieri e, chiarament­e, se li accaparra (e vince) chi i soldi li ha. In Europa l’Olympic ha fatto una più che discreta figura, ma ha dovuto giocare con cinque stranieri – oltre a quattro nazionali – e investimen­ti super. Quando poi si parla di Nazionale, ci si lamenta dei pochi nuovi elementi che vi approdano, si cercano all’estero quelli bravi (vedi Baldassarr­i), si rimpiangon­o i soliti inarrivabi­li Sefolosha e Capela, ma intanto si fanno le nozze con i fichi secchi, lottando nella parte bassa del ranking europeo. Che occorra un cambiament­o di rotta a livello globale, dalla Federazion­e ai club, lo diciamo da anni e appare sempre più evidente, ma di soluzioni concrete ed efficaci non se ne sono ancora viste.

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