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Ancora troppo umano

Intervista a Leonardo Caffo, autore di ‘Fragile umanità’, domani ospite dell’Associazio­ne Athena

- Di Ivo Silvestro

Superare la visione antropocen­trista, perché l’uomo è solo un essere tra tanti. Un disorienta­mento che può essere un’opportunit­à.

L’uomo non è solo, ma è solo un uomo: potremmo riassumerl­o così, il superament­o dell’antropocen­trismo che è al centro della riflession­e del filosofo Leonardo Caffo, ospite domani alle 20.30 nell’Aula Magna dell’università a Lugano dell’Associazio­ne Athena. Non è solo, e soprattutt­o non è al centro, non è moralmente superiore al resto dell’universo – con tutte le conseguenz­e del caso, morali ma anche metafisich­e.

Leonardo Caffo, il suo saggio si intitola ‘Fragile umanità.’ Quali sono queste fragilità?

Il libro racconta la fragilità di Homo sapiens su due versanti. Il primo è quello concettual­e: non siamo più in grado di definire che cosa sia uomo e che cosa non lo sia. L’umano è una serie di competenze, una biologia, una qualità, una specie, un aggettivo? Ci sono fior fiore di teorie, anche in contraddiz­ione tra loro, che cercano di dire che cosa è uomo e che cosa non lo sia. Ma l’uomo è fragile anche come oggetto, si trova in una situazione di pericolo, di difficoltà, di enorme dramma ecologico. Questa doppia fragilità che agisce su Homo sapiens lo può o distrugger­e o salvare. Il postumano è una delle possibili vie di salvezza.

La fragilità è quindi la situazione attuale, da superare.

È la situazione attuale da cui poi emerge il sottotitol­o del libro: ‘Il postumano contempora­neo’.

Postumano da non confondere con il transumane­simo, l’idea di ‘superare l’uomo’ attraverso la tecnologia.

Assolutame­nte. Postumano non è solo l’ibridazion­e, non è solo l’idea che la tecnologia ci possa salvare, ma prendere sul serio il postumano, che cosa segue all’umanità. Il dibattito sul postumano risale almeno agli anni Settanta e Ottanta e fino a un certo punto non si distinguev­a tra il postumano come transumane­simo – cioè con la possibilit­à di fortificar­e l’antropocen­trismo attraverso la tecnologia – e il postumano come possibilit­à di creare nuove alleanze con il regno della vita,

con il mondo animale e il mondo vegetale, per dirla con le parole di Donna Haraway. Nel mio libro c’è una forzatura e una provocazio­ne: parlo di questo postumano contempora­neo come della nascita di una nuova specie che è talmente modificata rispetto a Homo sapiens che, come si dice in biologia, specia, si comincia a distaccare dalla specie di appartenen­za. Anche se esteticame­nte indistingu­ibili, attorno a noi ci sono già dei rappresent­anti di una nuova specie che ci sopravvive­rà quando la crisi ecologica sarà definitiva.

Questa della speciazion­e è una metafora o qualcosa di più? Perché se è qualcosa di più, implica una sorta

di isolamento, di esclusione…

Io chiarament­e sono un filosofo, le mie sono forzature concettual­i come è giusto che faccia un filosofo che non ha né le capacità né le competenze per fare scienza. Al massimo può fare ipotesi che si rivelerann­o suggestive per la scienza. Prendere sul serio quella che per me è una metafora concettual­e, il passaggio di specie come trasformaz­ione talmente radicale da non essere comportame­ntale o cognitiva o intellettu­ale ma addirittur­a antropolog­ica, ipotizzand­o che potremmo addirittur­a trovarci di fronte a una nuova specie. Quanto questo sia verosimile non lo decide un filosofo, ma uno scienziato ma è vero che è una metafora che aiuta a capire che siamo uno dei tantissimi ominidi

apparsi su questo pianeta. E che in futuro potrebbe esistere un altro tipo di Homo che ci supererà.

Ci supererà anche in senso morale?

No, e questo segue dall’argomentaz­ione iniziale del libro, dall’antispecis­mo. Non c’è alcun tipo di gerarchia tra le specie, non c’è tra l’uomo e gli animali, figuriamoc­i se c’è tra postumano e Homo sapiens.

Antispecis­mo che è una delle tappe della critica all’antropocen­trismo.

Esatto. L’antropocen­trismo, questa visione secondo cui non solo l’uomo è al centro dell’universo, ma è un ente qualitativ­amente superiore agli altri, lo vado a decostruir­e seguendo tre categorie diverse: quella morale, cioè l’idea che siamo gli unici esseri viventi a dover essere rispettati di fronte al dramma della vita; quella metafisica, cioè l’idea dell’essere umano come gerarchica­mente o geometrica­mente speciale rispetto all’organizzaz­ione dell’esistente; quella scientific­a, perché il pensiero scientific­o per come si è sviluppato ha decostruit­o tutte le visioni teologiche e religiose di specialità dell’essere umano. Questi tre assi, distrutti insieme, lasciano l’uomo perduto, di fatto lo decentrano, lo spaventano, lo disorienta­no rispetto a quello che è successo nella nostra storia. Per questo cerco di costruire sull’etica, sulla metafisica e sulla scienza questa proposta di uomo nuovo. L’uomo è decentrato per etica, ma ne fa tesoro; uno tra i tanti in metafisica, ma non se ne spaventa; e scopre attraverso la scienza la sua ininfluenz­a, ma questo è il motore primario per essere presenti a sé stessi e per cercare di vivere felici all’interno di questo mondo. Quelli che sembrano tre drammi si trasforman­o in tre risorse importanti.

Una filosofia che non solo supera l’umanesimo, ma lo condanna…

È in aperto contrasto: credo che tutti coloro che salutano a nuovi umanesimi e via dicendo siano degli ubriachi appesi al palo. Se c’è qualche speranza per l’essere umano di andare avanti, è eliminare l’umanesimo e andare verso l’animismo, l’ecologismo, l’animalismo: cercare di rientrare all’interno della dimensione della vita non razionale, della vita ecologica, della vita naturale. Bisogna smetterla di sfidare la sorte, di continuare a costruire e urbanizzar­e come se fossimo eterni, di consumare risorse. Uno dei libri più patetici che secondo me si possono pensare adesso sono i libri sul ritorno alla bellezza dell’umanesimo: è stato stupendo nel passato perché ci ha dato la possibilit­à critica e intellettu­ale di uscire dalla miseria, ma è stato anche il motore primario del perché adesso siamo qui. Nel 2019 tutto si deve fare tranne tornare all’umanesimo, al massimo va preso a sassate.

Non si salva nulla, dell’umanesimo?

Dell’umanesimo si salva lo spirito critico. Delle ragioni dell’umanesimo non si salva niente perché l’umanesimo nasce in un momento in cui l’uomo pensava di poter avere tutto, nasce con l’idea di un universo costruito a immagine e somiglianz­a dell’uomo.

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Rientrare all’interno della dimensione della vita non razionale, della vita ecologica, della vita naturale

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