La vendetta sui bambini dell’Isis
Human Rights Watch denuncia abusi e torture sui minori nel Kurdistan iracheno
I ragazzi, almeno 1’500, provenienti dai territori già controllati dallo Stato Islamico, processati e condannati invece di essere reintegrati
Beirut – Pagano di nuovo i più deboli. Secondo un rapporto di Human Rights Watch (Hrw), i governi iracheno e curdoiracheno sono responsabili di abusi, tra cui torture, contro circa 1’500 tra bambini e adolescenti sospettati di avere militato a vario titolo nell’Isis, condannandoli a pene detentive dopo processi “frettolosi e ingiusti”.
L’inchiesta presentata ieri dall’Ong basata a New York, si fonda su decine di testimonianze raccolte dai ricercatori tra vittime di abusi, avvocati ed esperti di diritto umanitario. Un rapporto di oltre 50 pagine che accusa le forze irachene e quelle curdo-irachene di gravi violazioni contro le centinaia di minorenni provenienti da territori che dal 2014 al 2017 sono stati controllati dallo Stato islamico. Tra questi figurerebbero anche circa 200 minori stranieri. I ragazzi sono stati arrestati e processati in maniera sommaria basandosi su sospetti e dicerie. E per estorcere loro le confessioni, molti sono stati sottoposti a torture e abusi. “I minorenni accusati di affiliazione all’Isis sono arrestati, spesso torturati e processati, indipendentemente dal loro vero livello di coinvolgimento con il gruppo”, ha detto Jo Becker, direttore di Hrw per la difesa dei diritti dei minori. L’organizzazione internazionale ricorda che secondo il diritto internazionale, i minori reclutati da gruppi armati come l’Isis sono da considerare come vittime e devono quindi essere guidati in un percorso di riabilitazione e reintegrazione nella società. Mentre la pratica denunciata nel rapporto “non è giustizia, e lascerà conseguenze negative per tutta la vita in molti di questi ragazzi”. Human Rights Watch critica anche la procedura di raccolta delle prove che hanno portato all’arresto di molti minori. Si cita ad esempio il caso di un diciassettenne processato perché lavorava a Mosul in un ristorante frequentato dai jihadisti. Il ragazzo era stato inserito nel libro paga dell’Isis per ricevere il suo salario mensile in un contesto in cui il giovane non aveva altra alternativa per guadagnarsi da vivere nella città allora totalmente controllata dallo Stato Islamico. I minorenni arrestati dicono che, una volta rilasciati, temono di tornare a casa per paura di vendette da chi li considera effettivamente jihadisti. Altri, detenuti e poi rilasciati dalle forze curde, temono di essere nuovamente arrestati dalle forze federali se tornano nel territorio controllato da Baghdad. Il risultato è la separazione permanente tra questi ragazzi e le loro famiglie e comunità. “In Iraq e nel Kurdistan iracheno questo trattamento dei minori assomiglia più a una cieca giustizia che a una giustizia per i crimini dell’Isis”, ha concluso Becker.