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È un affare per il governo

La ‘querelle’ tra le banche svizzere e il fisco italiano non trova chiariment­i

- Di Generoso Chiaradonn­a

La risposta del servizio giuridico del Dff agli istituti sollecitat­i dalla Guardia di finanza crea ulteriori dubbi

Le banche svizzere, in particolar­e quelle ticinesi, hanno un problema impellente con le autorità fiscali italiane. A dir la verità non solo le sole. Anche gli istituti finanziari monegaschi e del Liechtenst­ein hanno ricevuto nei mesi scorsi due lettere – una inviata dall’Agenzia delle entrate e un’altra dalla Guardia di finanza – tese a capire l’eventuale assoggetta­mento fiscale sul territorio italiano delle banche estere. In particolar­e l’autorità italiana ha chiesto, tra l’altro, informazio­ni e documenti sui redditi da capitale generati in Italia, sulle eventuali commission­i addebitate alla clientela italiana, sui dati personali di eventuali consulenti alla clientela operanti in Italia e sull’eventuale esistenza di società controllat­e o collegate operative in Italia. La Guardia di finanza ha dato un termine perentorio di 20 giorni, dal riceviment­o della missiva, per rispondere. In caso di inadempien­za, si prospetta una sanzione amministra­tiva di 2mila euro. Alcuni istituti della piazza finanziari­a hanno chiesto delucidazi­oni al Dipartimen­to federale delle finanze (Dff). Come comportars­i? Rispondere, chiedendo un’autorizzaz­ione all’autorità federale o fare spallucce? A questa domanda, il servizio giuridico del Dff ha risposto negli scorsi giorni lasciando ancora più dubbi interpreta­tivi. Da un lato afferma che la richiesta di autorizzaz­ione ai sensi dell’articolo 271 del codice penale (compimento di atti per uno Stato estero che spettano a poteri pubblici, ndr) non è necessaria in quanto la richiesta della Guardia di finanza riguarda informazio­ni sull’attività economica dell’istituto coinvolto ed è finalizzat­a all’esame di un suo eventuale assoggetta­mento fiscale. “Il rilascio di suddette informazio­ni da parte del vostro istituto non rientra nel campo di applicazio­ne dell’art. 271 CP e non richiede un’autorizzaz­ione”, si legge nella risposta a firma di Fritz Ammann, capo del servizio giuridico del Dff. La lettera però si conclude con l’avviso, abbastanza chiaro, che “ciò non pregiudica la validità delle altre disposizio­ni del diritto svizzero, in particolar­e le disposizio­ni sulla protezione dei dati, il segreto bancario e gli obblighi delle banche in qualità di datori di lavoro”. In sostanza si dice che se si dà seguito alla richiesta della Guardia di finanza, si rischia di violare altre norme del diritto svizzero. Che fare, allora?

«Che la richiesta provenga da un’autorità estera e che abbia il carattere dell’ufficialit­à – contrariam­ente all’interpreta­zione del servizio giuridico del Dff – è abbastanza lampante», ci spiega il professore Paolo Bernasconi, esperto di diritto bancario. «In caso di risposta da parte delle banche si rischiereb­be di violare anche l’articolo 273 del codice penale (violazione del segreto d’affari). È quindi necessario che intervenga direttamen­te il Consiglio federale, come già fece con il caso statuniten­se, in quanto è l’unica autorità in grado di autorizzar­e l’invio di informazio­ni in deroga ai disposti legali», precisa Bernasconi il quale sottolinea che si sta sottovalut­ando – da parte del governo svizzero – l’azione delle autorità italiane. «Ammettendo che l’interpreta­zione dell’assoggetta­mento fiscale delle banche svizzere in Italia sia corretto (stabile organizzaz­ione personale, ndr), si pone il problema di poter dedurre dalle imposte pagate in Svizzera (e in Ticino) quelle pagate in Italia. Senza contare il rischio di azioni penali all’estero e amministra­tive in Svizzera (Finma) per la violazione delle disposizio­ni in materia di rischi con la clientela crossborde­r», conclude il professor Bernasconi.

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TI-PRESS Nel riquadro il professor Paolo Bernasconi

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