‘Ho la sensazione di non aver ancora raggiunto il massimo’
Campionessa del mondo, numero uno della disciplina... Dove trova gli stimoli per nuove sfide? «Nella concorrenza – spiega Daniela –. Ci sono molte avversarie giovani e di livello affamate di successo. Se divento pigra, in un attimo sparisco dalla scena. Il triathlon è onesto: chi lavora duramente può restare ai vertici, chi specula sparisce in fretta dai radar. Inoltre, ho la sensazione di non avere ancora raggiunto il massimo delle mie prestazioni. La scorsa stagione è stata super, ma sono convinta di avere dentro ancora qualcosa di inespresso, e questo mi motiva a continuare a rilanciare. I margini ci sono, lo sento, ma per fortuna non so quali siano, e così continuo a cercarli. Infine, c’è la gioia. Non devo più dimostrare nulla. Le prime vittorie ottenute le ho già confermate ampiamente. Questa dinamica ha riguardato le prime due stagioni, ma oggi posso godere di quanto faccio, ed è una sensazione meravigliosa, che mi motiva ancora di più. Non lo faccio perché devo, bensì perché voglio».
Si è già lasciata alle spalle molti uomini, anche di valore. Il confronto la intriga? «I risultati degli uomini mi motivano. Vedere all’opera i migliori specialisti mi porta a chiedermi come mai il loro livello sia così alto, e cosa posso fare io per cercare di avvicinare quei tempi. La donna ha degli atout interessanti che rendono il confronto particolarmente stimolante. Credo di poter avvicinare i tempi degli uomini, ma non per batterli – pensare di farcela è irrealistico –, bensì per vedere quanto vicino si può arrivare. Qualche anno fa una donna in un Ironman concedeva 45 minuti, oggi il divario è sceso attorno alla mezz’ora, e credo che sia possibile scendere ancora. Lo trovo appassionante. Il tempo in sé nel triathlon dice poco, perché può essere condizionato da fattori esterni, in primis il meteo. Il confronto diretto, invece, è sempre lo stesso: le condizioni sono le stesse per tutti».
Molto nota a livello mondiale, si è costruita una bella immagine. Si sente un esempio? «Non mi reputo poi così importante. Posso ispirare qualcuno, questo sì: è bello incontrare persone e sentirsi dire che hanno iniziato a fare sport seguendo il mio esempio, che ispirandosi a me hanno fatto qualcosa di positivo per la loro salute. Cerco di essere un esempio positivo, per quanto posso. Ho una responsabilità nei confronti di chi prende spunto dal mio lavoro. Ma non sono perfetta, sia chiaro. Faccio anch’io le mie belle sciocchezze. Ai miei inizi entrai in un club, da ragazzina, e fui seguita da alcuni adulti che mi indicarono la via da seguire per diventare l’atleta che sono poi diventata. Quegli insegnamenti cerco ora di trasmetterli a mia volta ai giovani. Voglio restituire qualcosa ai ragazzi che si avvicinano al mio sport. Li voglio motivare. Che diventino sportivi d’élite o no, non fa alcuna differenza».