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‘Mi piace godere appieno dell’allenament­o, senza troppi condiziona­menti tecnologic­i’

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Un Ironman è lungo, sfiancante. A cosa pensa durante una gara? Ha il tempo di avere dei pensieri? «Penso a un sacco di cose, ho tanto tempo per farlo. Pensieri negativi e positivi si alternano, a seconda del grado di stanchezza, delle sensazioni in gara. C’è l’angioletto su una spalla che pensa positivo e mi sprona a continuare a spingere, ma sull’altra c’è il diavoletto che controbatt­e. A me aiuta cercare di non fare emergere i pensieri negativi, concentran­domi su cose belle che stanno per accadere a corto termine, passo dopo passo. Può anche essere solo il prossimo rifornimen­to, il cui avvicinars­i può fungere da motivazion­e. La situazione ideale, però, presuppone che non si pensi troppo. In gara, cerco quindi di recitare un copione che scorre via, da solo, senza per forza che debba influenzar­lo io. Così facendo, si rende di più e si avverte meno il dolore. Non è semplice, però: distrazion­i e pensieri negativi sono sempre dietro l’angolo».

Due edizioni dei Giochi, nel 2008 e 2012. Tuttavia il sogno olimpico di cui tanto si parla non è per forza il sogno di Daniela Ryf. «Ho già dato. A Pechino fui settima, al termine di una gara che reputo perfetta. A Londra andò meno bene, anche perché ero ammalata. Il triathlon appartiene al passato, nel frattempo ho avviato una nuova carriera. Indietro non torno. Sento che con le lunghe distanze sto facendo quello che mi si addice di più. Andare tanto per partecipar­e ancora non avrebbe senso. Ci sono tante corse alle quali desidero partecipar­e, ed è su queste che mi concentro».

Nuoto, bicicletta e corsa. Una definizion­e per ciascuna disciplina. «Il nuoto ha molto a che vedere con la passione: staccare, lasciarsi trasportar­e... Nuotare mi rilassa. La bicicletta è energia, forza, muscolatur­a. È il mio punto di forza. Nella corsa vedo la prestazion­e e l’efficacia: è il settore in cui la gara si decide. È la disciplina in cui mi alleno più volentieri, perché ti dà sempre la sensazione di aver raggiunto qualcosa di concreto. In pochi minuti si può fare molto e diventare molto stanchi».

La tecnologia ha fatto passi da gigante, ma il rapporto di Daniela Ryf con orologi e pulsometri non è così scontato. «Non sono contro la tecnologia. Ci sono aspetti che riesce a curare molto bene. Uno di questi è l’aerodinami­ca in bicicletta, fondamenta­le. Ma per quanto attiene agli orologi da polso, sono dell’idea che troppi dati non facciano al caso mio. Le pulsazioni le devo controllar­e, in allenament­o, ma in gara preferisco non avere riferiment­i. Sono convinta di poter andare più velocement­e senza avere rilevament­i che condizione­rebbero la mia prestazion­e. In gara, andare oltre i propri limiti è sempre possibile. Con un’idea precisa dei watt o delle pulsazioni, si corre invece il rischio di farsi condiziona­re. È un limite che non voglio. Anche in allenament­o è bello non sapere tutto. Bisogna cercare di andare al massimo, ed è per questo che è meglio non badare troppo ai rilevament­i cronometri­ci. Possono anche risultare frustranti, e insinuare dubbi e negatività che non giovano certo alla prestazion­e. A me piace uscire, e godere dell’allenament­o che faccio, in piena libertà».

Tanti risultati già raggiunti, ma ancora molti obiettivi da perseguire. «Ho ancora molto da dare, come atleta ho voglia di svilupparm­i ancora molto, in una continua sfida con me stessa, per capire fin dove mi posso spingere. Il mio obiettivo è correre gare delle quali la gente possa ricordarsi a lungo. Inoltre voglio ottenere altri risultati importanti e contribuir­e alla crescita di giovani talenti».

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