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Patriziato ieri e oggi

Ancora oggi sono proprietar­i del 70 per cento del territorio cantonale

- di Claudio Rossi 3

Quale è la funzione principale del patriziato? Consiste nel gestire e nell’amministra­re collettiva­mente i beni comuni e nel mettere a disposizio­ne quanto prodotto a tutta la comunità. Scopriamo assieme la sua attualità e le sue trasformaz­ioni avvenute nel corso dei secoli.

Gran parte del territorio ticinese non appartiene né al comune, né al cantone. Proprietar­i e amministra­tori del 70% del nostro territorio sono i patriziati. L’Alpa, l’Alleanza patriziale ticinese, nata nel 1938, è un’associazio­ne che raggruppa duecento patriziati e novantamil­a patrizi. Sostiene i patriziati e promuove la collaboraz­ione tra di loro e con i comuni, così da creare condizioni favorevoli alla gestione del territorio. Oggi appartener­e a un patriziato non comporta dei vantaggi, al contrario della società d’un tempo, che aveva l’esclusiva dello sfruttamen­to dell’alpe, di un pascolo, di un bosco. Ci sono patriziati, come quello di Bellinzona, che non hanno né stabili, né terreni. Qualche anno fa i patriziati senza terra hanno rischiato di scomparire, quello di Lugano ha acquistato sul Monte Brè alcuni boschi di dimensioni modeste, quanto bastava a garantirsi la sopravvive­nza. Negli anni 70 il deputato in Gran Consiglio Pier Felice Barchi con una mozione chiedeva che l’amministra­zione dei beni del patriziato fosse affidata al comune. Il governo fece allestire uno studio approfondi­to dell’istituto patriziale. Un’apposita commission­e, promossa per esaminare il problema, giunse alla conclusion­e che il patriziato non solo andava conservato, ma rivalutato con nuove norme che ne garantisse­ro la continuità.

I beni: dalle teleferich­e alle cave...

Come recita l’articolo 5 della Legge organica patriziale, i beni patriziali si suddividon­o in beni amministra­tivi e beni patrimonia­li. Quelli amministra­tivi sono in particolar­e i boschi, le alpi, i prati, i pascoli, le cave, le case patriziali e gli altri edifici di uso pubblico, i terreni incolti, le strade, gli acquedotti, le teleferich­e, gli impianti sportivi, le opere di premunizio­ne torrentizi­e e contro le valanghe, l’archivio. I beni patrimonia­li non hanno uno scopo pubblico diretto. Sono beni mobili, quali i capitali, nonché gli edifici utilizzati nella forma del diritto privato, (locazione e affitto).

Compiti: tradizioni locali e gestione

Compito principale è il buon governo dei beni patriziali, la gestione e la salvaguard­ia delle proprietà fondiarie, il sostegno all’attività agricola montana e mantenere le tradizioni locali. Promuove la creazione di squadre specializz­ate per la cura del pascolo e del bosco, per il taglio e il commercio del legname. Previene i pericoli naturali, come la messa in opera di consolidam­ento dei terreni e di mezzi concepiti contro le valanghe a protezione della comunità. A dipendenza della situazione, ogni patriziato si occupa dell’amministra­zione della sostanza immobiliar­e o anche di impianti di trasporto, della realizzazi­one di strutture particolar­i, quali edifici anche a carattere storico. I patriziati delle valli con estese proprietà, oltre alla gestione dei boschi e dei pascoli, hanno delle responsabi­lità importanti nei confronti della collettivi­tà, per garantirne la sicurezza e la tutela del paesaggio e a volte si trovano ad operare con risorse limitate. Il patriziato è impegnato in ambito culturale, sostenendo bibliotech­e e musei, curando l’archivio, uno fra i pochi testimoni della nostra storia, grazie alla sua ricca documentaz­ione.

L’attenzione rivolta ai giovani

L’Alpa, come ci sottolinea l’attuale presidente Tiziano Zanetti, ha anche un ruolo formativo verso i giovani e le iniziative non mancano grazie ai corsi estivi di cultura e di sport, che vedono la partecipaz­ione di migliaia di giovani, con uscite ambientali, che permettono di conoscere e apprezzare le risorse del territorio, così da avvicinare la nuova generazion­e alle tradizioni e ai valori del nostro paese e permettere la continuità di queste realtà.

La sua origine nel comune rurale

Il patriziato trae la sua origine dal comune rurale, una comunità organizzat­a, con statuti e regolament­i per la gestione dei beni comuni. Nel Medioevo nasce la vicinia, termine utilizzato per indicare l’insieme degli abitanti che vivevano nella stessa località, che condividev­ano proprietà comuni nelle regioni alpine e prealpine. Vi risiedevan­o famiglie di diverso ceto sociali, che abitavano quei luoghi da intere generazion­i. A quei tempi il comune rustico, soprattutt­o nelle zone di montagna, era povero, dalla terra si ricavava quel poco che permetteva di vivere. Da parte dei cittadini c’era la volontà di aiutarsi l’un l’altro, grazie a una vita in comune, retta da un sentimento di fraternità, che teneva in consideraz­ione le esigenze di ognuno. Immaginiam­o un gruppo di case, con stalle orti e vigne, la chiesa al centro. Più in alto il bosco, i pascoli. Ecco la proprietà in comune; i beni appartenev­ano non a una singola persona, ma a tutte le famiglie della vicinia, che sottostava­no a norme e leggi che ne regolavano l’uso ed evitavano che dei ricchi privati o dei nobili potessero possederli. Queste antiche famiglie provvedeva­no a quelle incombenze che richiedeva­no la collaboraz­ione di tutti, come la manutenzio­ne di strade, di boschi, di pascoli.

L’intervento dei francesi

Siamo nel periodo in cui scoppiò la Rivoluzion­e francese. Tra il 1799 e il 1803 la Repubblica Elvetica era ingovernab­ile e subì quattro colpi di stato, con grandi disordini, talvolta sanguinosi. Napoleone decise di intervenir­e come mediatore. Nel marzo del 1803 entrò in vigore l’Atto di mediazione, che modificò il vecchio si- stema cantonale. Fecero parte della Confederaz­ione sei nuovi cantoni, fra cui il Ticino, nome ideato riprendend­o quello del fiume più importante del territorio, il Ticino appunto. I francesi confusero i nostri latifondi, per lo più pascoli estesi, con i beni dei nobili francesi, una classe a sé diversa dagli altri per ricchezza, funzione sociale e cultura e diedero il nome patriziato all’antico vicinato, che non aveva mai fatto riferiment­o a una classe feudale, nobiliare. Tra l’altro nella prima Costituzio­ne si legge: “La libertà e l’Eguaglianz­a pongono ad uno stesso livello de’ diritti dell’Homo, il Nobile ed il Plebeo… Nissuno porterà alcun titolo di nobiltà e sarà chiamato con quello di Cittadino, o con quello della sua profession­e…”(1).

1803-1830: i patrizi e i cittadini

Patrizio è colui che grazie ai suoi avi ha le radici in quella terra e fa parte di una comunità che può godere di beni economici in quella terra. I vicini d’un tempo, gli attuali patrizi, non accettavan­o che i nuovi cittadini avessero gli stessi diritti. In tutti i regolament­i vigeva come principio l’esclusione, da parte dei forestieri, di be- neficiare e di godere dei beni. Non potevano raccoglier­e il fieno, la legna nei boschi, pasturare il bestiame sul pascolo di tutti. Negli anni dal 1803 fino al 1830 la municipali­tà e il patriziato erano tutt’altro che concordant­i. Stefano Franscini porrà fine a questo disordine legislativ­o dovuto a una mancanza di chiarezza. Riconobbe il dualismo e pose le basi della nuova legge organica ticinese: da una parte quella comunale, dall’altra la legge patriziale. Inoltre la divisione fra patrizi e non patrizi non poteva essere accettata, anche se affondava le sue radici nelle tradizioni delle singole comunità. Ogni cittadino che voleva esercitare i suoi diritti politici doveva chiedere l’ammissione al patriziato, comprovare la sua discendenz­a e adempiere a tutta una serie di obblighi codificati dalla legge. Solo i patrizi avevano il diritto di voto, gli altri erano semplici cittadini con diritto di domicilio. La questione dell’appartenen­za al patriziato per diventare cittadini del paese verrà definitiva­mente sciolta solo negli anni 1857/58, con una nuova legge patriziale.

Un tempo si votava con i fagioli

Denominata “la balotéra”, era il sistema di voto segreto utilizzato in passato in alcuni patriziati, fra cui quello di Minusio, Arzo e Croglio. Chi votava inseriva il braccio nell’apposita apertura della balotéra, con due fagioli nascosti nella mano e sceglieva poi se utilizzare il fagiolo bianco per votare sì o quello nero per votare no. Se in alcuni cantoni durante la Landsgemei­nde si vota per alzata di mano, sotto gli occhi di tutti, in Ticino in passato alcune questioni scottanti richiedeva­no la massima segretezza.

*** (1)Vedi Bollettino delle leggi e decreti della Repubblica Elvetica. Quaderno II, pp. 82-87 (2)Bibliograf­ia . Maggi Flavio, Patriziati e patrizi ticinesi, Pramo 1997 . Documenti della Commission­e di studio sul patriziato ticinese, Dipartimen­to dell’Interno del Canton Ticino, 1975 . lanostraSt­oria.ch (3) Proprietà del Patriziato di Minusio. Foto

messa a disposizio­ne da Nicola Martinoni

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Antica urna per le votazioni, chiamata ‘la balotéra’
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Tiziano Zanetti, presidente dell’Alpa

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