Patriziato ieri e oggi
Ancora oggi sono proprietari del 70 per cento del territorio cantonale
Quale è la funzione principale del patriziato? Consiste nel gestire e nell’amministrare collettivamente i beni comuni e nel mettere a disposizione quanto prodotto a tutta la comunità. Scopriamo assieme la sua attualità e le sue trasformazioni avvenute nel corso dei secoli.
Gran parte del territorio ticinese non appartiene né al comune, né al cantone. Proprietari e amministratori del 70% del nostro territorio sono i patriziati. L’Alpa, l’Alleanza patriziale ticinese, nata nel 1938, è un’associazione che raggruppa duecento patriziati e novantamila patrizi. Sostiene i patriziati e promuove la collaborazione tra di loro e con i comuni, così da creare condizioni favorevoli alla gestione del territorio. Oggi appartenere a un patriziato non comporta dei vantaggi, al contrario della società d’un tempo, che aveva l’esclusiva dello sfruttamento dell’alpe, di un pascolo, di un bosco. Ci sono patriziati, come quello di Bellinzona, che non hanno né stabili, né terreni. Qualche anno fa i patriziati senza terra hanno rischiato di scomparire, quello di Lugano ha acquistato sul Monte Brè alcuni boschi di dimensioni modeste, quanto bastava a garantirsi la sopravvivenza. Negli anni 70 il deputato in Gran Consiglio Pier Felice Barchi con una mozione chiedeva che l’amministrazione dei beni del patriziato fosse affidata al comune. Il governo fece allestire uno studio approfondito dell’istituto patriziale. Un’apposita commissione, promossa per esaminare il problema, giunse alla conclusione che il patriziato non solo andava conservato, ma rivalutato con nuove norme che ne garantissero la continuità.
I beni: dalle teleferiche alle cave...
Come recita l’articolo 5 della Legge organica patriziale, i beni patriziali si suddividono in beni amministrativi e beni patrimoniali. Quelli amministrativi sono in particolare i boschi, le alpi, i prati, i pascoli, le cave, le case patriziali e gli altri edifici di uso pubblico, i terreni incolti, le strade, gli acquedotti, le teleferiche, gli impianti sportivi, le opere di premunizione torrentizie e contro le valanghe, l’archivio. I beni patrimoniali non hanno uno scopo pubblico diretto. Sono beni mobili, quali i capitali, nonché gli edifici utilizzati nella forma del diritto privato, (locazione e affitto).
Compiti: tradizioni locali e gestione
Compito principale è il buon governo dei beni patriziali, la gestione e la salvaguardia delle proprietà fondiarie, il sostegno all’attività agricola montana e mantenere le tradizioni locali. Promuove la creazione di squadre specializzate per la cura del pascolo e del bosco, per il taglio e il commercio del legname. Previene i pericoli naturali, come la messa in opera di consolidamento dei terreni e di mezzi concepiti contro le valanghe a protezione della comunità. A dipendenza della situazione, ogni patriziato si occupa dell’amministrazione della sostanza immobiliare o anche di impianti di trasporto, della realizzazione di strutture particolari, quali edifici anche a carattere storico. I patriziati delle valli con estese proprietà, oltre alla gestione dei boschi e dei pascoli, hanno delle responsabilità importanti nei confronti della collettività, per garantirne la sicurezza e la tutela del paesaggio e a volte si trovano ad operare con risorse limitate. Il patriziato è impegnato in ambito culturale, sostenendo biblioteche e musei, curando l’archivio, uno fra i pochi testimoni della nostra storia, grazie alla sua ricca documentazione.
L’attenzione rivolta ai giovani
L’Alpa, come ci sottolinea l’attuale presidente Tiziano Zanetti, ha anche un ruolo formativo verso i giovani e le iniziative non mancano grazie ai corsi estivi di cultura e di sport, che vedono la partecipazione di migliaia di giovani, con uscite ambientali, che permettono di conoscere e apprezzare le risorse del territorio, così da avvicinare la nuova generazione alle tradizioni e ai valori del nostro paese e permettere la continuità di queste realtà.
La sua origine nel comune rurale
Il patriziato trae la sua origine dal comune rurale, una comunità organizzata, con statuti e regolamenti per la gestione dei beni comuni. Nel Medioevo nasce la vicinia, termine utilizzato per indicare l’insieme degli abitanti che vivevano nella stessa località, che condividevano proprietà comuni nelle regioni alpine e prealpine. Vi risiedevano famiglie di diverso ceto sociali, che abitavano quei luoghi da intere generazioni. A quei tempi il comune rustico, soprattutto nelle zone di montagna, era povero, dalla terra si ricavava quel poco che permetteva di vivere. Da parte dei cittadini c’era la volontà di aiutarsi l’un l’altro, grazie a una vita in comune, retta da un sentimento di fraternità, che teneva in considerazione le esigenze di ognuno. Immaginiamo un gruppo di case, con stalle orti e vigne, la chiesa al centro. Più in alto il bosco, i pascoli. Ecco la proprietà in comune; i beni appartenevano non a una singola persona, ma a tutte le famiglie della vicinia, che sottostavano a norme e leggi che ne regolavano l’uso ed evitavano che dei ricchi privati o dei nobili potessero possederli. Queste antiche famiglie provvedevano a quelle incombenze che richiedevano la collaborazione di tutti, come la manutenzione di strade, di boschi, di pascoli.
L’intervento dei francesi
Siamo nel periodo in cui scoppiò la Rivoluzione francese. Tra il 1799 e il 1803 la Repubblica Elvetica era ingovernabile e subì quattro colpi di stato, con grandi disordini, talvolta sanguinosi. Napoleone decise di intervenire come mediatore. Nel marzo del 1803 entrò in vigore l’Atto di mediazione, che modificò il vecchio si- stema cantonale. Fecero parte della Confederazione sei nuovi cantoni, fra cui il Ticino, nome ideato riprendendo quello del fiume più importante del territorio, il Ticino appunto. I francesi confusero i nostri latifondi, per lo più pascoli estesi, con i beni dei nobili francesi, una classe a sé diversa dagli altri per ricchezza, funzione sociale e cultura e diedero il nome patriziato all’antico vicinato, che non aveva mai fatto riferimento a una classe feudale, nobiliare. Tra l’altro nella prima Costituzione si legge: “La libertà e l’Eguaglianza pongono ad uno stesso livello de’ diritti dell’Homo, il Nobile ed il Plebeo… Nissuno porterà alcun titolo di nobiltà e sarà chiamato con quello di Cittadino, o con quello della sua professione…”(1).
1803-1830: i patrizi e i cittadini
Patrizio è colui che grazie ai suoi avi ha le radici in quella terra e fa parte di una comunità che può godere di beni economici in quella terra. I vicini d’un tempo, gli attuali patrizi, non accettavano che i nuovi cittadini avessero gli stessi diritti. In tutti i regolamenti vigeva come principio l’esclusione, da parte dei forestieri, di be- neficiare e di godere dei beni. Non potevano raccogliere il fieno, la legna nei boschi, pasturare il bestiame sul pascolo di tutti. Negli anni dal 1803 fino al 1830 la municipalità e il patriziato erano tutt’altro che concordanti. Stefano Franscini porrà fine a questo disordine legislativo dovuto a una mancanza di chiarezza. Riconobbe il dualismo e pose le basi della nuova legge organica ticinese: da una parte quella comunale, dall’altra la legge patriziale. Inoltre la divisione fra patrizi e non patrizi non poteva essere accettata, anche se affondava le sue radici nelle tradizioni delle singole comunità. Ogni cittadino che voleva esercitare i suoi diritti politici doveva chiedere l’ammissione al patriziato, comprovare la sua discendenza e adempiere a tutta una serie di obblighi codificati dalla legge. Solo i patrizi avevano il diritto di voto, gli altri erano semplici cittadini con diritto di domicilio. La questione dell’appartenenza al patriziato per diventare cittadini del paese verrà definitivamente sciolta solo negli anni 1857/58, con una nuova legge patriziale.
Un tempo si votava con i fagioli
Denominata “la balotéra”, era il sistema di voto segreto utilizzato in passato in alcuni patriziati, fra cui quello di Minusio, Arzo e Croglio. Chi votava inseriva il braccio nell’apposita apertura della balotéra, con due fagioli nascosti nella mano e sceglieva poi se utilizzare il fagiolo bianco per votare sì o quello nero per votare no. Se in alcuni cantoni durante la Landsgemeinde si vota per alzata di mano, sotto gli occhi di tutti, in Ticino in passato alcune questioni scottanti richiedevano la massima segretezza.
*** (1)Vedi Bollettino delle leggi e decreti della Repubblica Elvetica. Quaderno II, pp. 82-87 (2)Bibliografia . Maggi Flavio, Patriziati e patrizi ticinesi, Pramo 1997 . Documenti della Commissione di studio sul patriziato ticinese, Dipartimento dell’Interno del Canton Ticino, 1975 . lanostraStoria.ch (3) Proprietà del Patriziato di Minusio. Foto
messa a disposizione da Nicola Martinoni