Corazzata Merkel in movimento
Sì sì, le elezioni per il parlamento europeo di fine maggio cambieranno molte cose, nella politica del continente. Ma già questi sono mesi di riallineamento, in alcuni casi strutturale, indipendentemente da come voteranno i cittadini della Ue: mutano le politiche interne ai Paesi, si rimescolano le alleanze tra governi. Naturalmente la Germania è come sempre la chiave di tutto. Berlino e Angela Merkel sono alle prese con alcune decisioni di grande portata da prendere, provocate da quello che sta succedendo nel mondo. Da un lato, l’economia globale rallenta, quella europea vacilla un po’ e la Germania ha sfiorato la recessione tecnica. Dall’altro, i cambiamento nell’Unione europea, soprattutto la Brexit, influenzano non poco le scelte politiche tedesche.
Germania l’economica preoccupa
Dal punto di vista dell’economia, la situazione in Germania (come nel resto dell’Eurozona) è preoccupante. Il rallentamento della crescita globale colpisce particolarmente quello che è uno dei maggiori esportatori del mondo. La crisi, per molti versi fino a pochi mesi fa inattesa, del settore auto tedesco è qualcosa che va alle radici del modello vincente della Germania: al di là dei venti congiunturali contrari, il cambiamento strutturale al quale sta andando incontro questa industria richiederà aggiustamenti non rapidissimi e forse dolorosi. In questo quadro, il vantaggio di Berlino è la sua posizione di bilancio, con un surplus pubblico e con un debito ormai al 60% del Pil, in linea con l’obiettivo di Maastricht. Ciò può fornire spazio al governo di Grande Coalizione per effettuare manovre di stimolo: una riduzione del carico fiscale per imprese e cittadini è una richiesta che arriva da numerosi settori dell’economia e della società: non è detto che la cristiano-democratica Merkel e i suoi alleati socialdemocratici intraprendano questa strada; di certo, non avere sulle spalle il peso di un alto debito pubblico rende più facile una risposta al rallentamento dell’economia. Fin qui, preoccupazione ma niente di straordinariamente nuovo, a Berlino.
Politica industriale: dirigismo
Sullo sfondo, ma ormai nemmeno troppo, è invece in atto in Germania un cambiamento che dipende dalle nuove dinamiche europee e che su di esse potrebbe avere grande influenza. Succede che nel Vecchio Continente si è alzato un vento antico che spinge i governi a essere sempre più interventisti in economia. Di fronte alle sfide portate dai concorrenti internazionali – le imprese americane e soprattutto quelle cinesi – nella Ue sta prendendo spazio un desiderio di dirigismo, un’idea di politica industriale nella quale i governi intervengono per gestire operazioni, per bloccarne altre, per indirizzare risorse secondo i loro obiettivi e non necessariamente secondo l’allocazione migliore.
Il caso Alstom - Siemens
Il caso della fusione tra le attività ferroviarie della francese Alstom e la tedesca Siemens, bloccato dalla Commissione europea su basi antitrust, ha sollevato reazioni quasi senza precedenti a Parigi e a Berlino. Il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire e il suo collega tedesco all’Economia Peter Altmaier chiedono che la politica sulla concorrenza in Europa venga riscritta. In particolare, vogliono che l’ultima parola in fatto di fusioni tra aziende europee non sia più della Commissione Ue, che giudica su basi tecniche, ma sia dei governi nazionali, che ovviamente procederanno più su basi politiche e probabilmente di potere. Il bene della concorrenza passerebbe così in secondo piano a favore del rilanciato, vecchio obiettivo di Parigi, che oggi sembra di nuovo condiviso da Berlino: la creazione di cosiddetti «campioni europei», cioè grandi gruppi industriali o finanziari voluti dalla politica e dai governi: un po’ sul modello di Airbus. Per la Francia, questa tendenza dirigista non è una novità, anche se da Emmanuel Macron ci si poteva aspettare altro. Per la Germania è diverso. In certi casi, Berlino, e prima Bonn, hanno seguito la logica dei campioni nazionali o europei. Ma i governi tedeschi non erano mai arrivati a sostenere l’idea di strappare alla Commissione i poteri antitrust, obiettivamente tra i più importanti negli scorsi decenni. Di fatto effettuando una «rinazionalizzazione» delle politiche sulla concorrenza in netto contrasto con le dichiarazioni a favore di più Europa che arrivano regolarmente da Parigi e Berlino. In questa scia, il governo Merkel, via ministro Altmaier, sta lavorando per una
notevole operazione anche nel mondo finanziario, la fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank: che ne risulti un «campione» sarà tutto da vedere, sta di fatto che il nuovo interventismo del governo tedesco si sta dispiegando. La svolta di Merkel e dei suoi ministri ha probabilmente più di una ragione. Al cuore, però, sembra esserci il desiderio di rafforzare il legame con la Francia di Macron in funzione antipopulista. Meglio ancora: la convinzione che l’asse tra Berlino e Parigi sia l’unica via per mettere in sicurezza l’Europa. Macron che piuttosto repentinamente cambia idea e di fatto dà il via libera al gasdotto NordStream 2 della russa Gazprom al quale i tedeschi
tengono moltissimo, nonostante la gran parte degli europei lo veda malissimo, sembra il segno di una ritrovata volontà di unità ma anche di egemonia di Francia e Germania. Cos’è successo? I Paesi che si sono costituiti nella cosiddetta Nuova lega anseatica — Olanda, Irlanda, Svezia, Finlandia, Danimarca, i tre baltici — ritengono che l’assenza del Regno Unito, in via di uscita dalla Ue, abbia fortemente indebolito il fronte dei Paesi più liberali nell’Unione, abbia dato vigore alla storica tendenza dirigista della Francia e abbia tolto la Germania dalla tradizionale posizione di mediazione tra Londra e Parigi. La corazzata tedesca è in movimento.