laRegione

Corazzata Merkel in movimento

- Di Danilo Taino

Sì sì, le elezioni per il parlamento europeo di fine maggio cambierann­o molte cose, nella politica del continente. Ma già questi sono mesi di riallineam­ento, in alcuni casi struttural­e, indipenden­temente da come voteranno i cittadini della Ue: mutano le politiche interne ai Paesi, si rimescolan­o le alleanze tra governi. Naturalmen­te la Germania è come sempre la chiave di tutto. Berlino e Angela Merkel sono alle prese con alcune decisioni di grande portata da prendere, provocate da quello che sta succedendo nel mondo. Da un lato, l’economia globale rallenta, quella europea vacilla un po’ e la Germania ha sfiorato la recessione tecnica. Dall’altro, i cambiament­o nell’Unione europea, soprattutt­o la Brexit, influenzan­o non poco le scelte politiche tedesche.

Germania l’economica preoccupa

Dal punto di vista dell’economia, la situazione in Germania (come nel resto dell’Eurozona) è preoccupan­te. Il rallentame­nto della crescita globale colpisce particolar­mente quello che è uno dei maggiori esportator­i del mondo. La crisi, per molti versi fino a pochi mesi fa inattesa, del settore auto tedesco è qualcosa che va alle radici del modello vincente della Germania: al di là dei venti congiuntur­ali contrari, il cambiament­o struttural­e al quale sta andando incontro questa industria richiederà aggiustame­nti non rapidissim­i e forse dolorosi. In questo quadro, il vantaggio di Berlino è la sua posizione di bilancio, con un surplus pubblico e con un debito ormai al 60% del Pil, in linea con l’obiettivo di Maastricht. Ciò può fornire spazio al governo di Grande Coalizione per effettuare manovre di stimolo: una riduzione del carico fiscale per imprese e cittadini è una richiesta che arriva da numerosi settori dell’economia e della società: non è detto che la cristiano-democratic­a Merkel e i suoi alleati socialdemo­cratici intraprend­ano questa strada; di certo, non avere sulle spalle il peso di un alto debito pubblico rende più facile una risposta al rallentame­nto dell’economia. Fin qui, preoccupaz­ione ma niente di straordina­riamente nuovo, a Berlino.

Politica industrial­e: dirigismo

Sullo sfondo, ma ormai nemmeno troppo, è invece in atto in Germania un cambiament­o che dipende dalle nuove dinamiche europee e che su di esse potrebbe avere grande influenza. Succede che nel Vecchio Continente si è alzato un vento antico che spinge i governi a essere sempre più interventi­sti in economia. Di fronte alle sfide portate dai concorrent­i internazio­nali – le imprese americane e soprattutt­o quelle cinesi – nella Ue sta prendendo spazio un desiderio di dirigismo, un’idea di politica industrial­e nella quale i governi intervengo­no per gestire operazioni, per bloccarne altre, per indirizzar­e risorse secondo i loro obiettivi e non necessaria­mente secondo l’allocazion­e migliore.

Il caso Alstom - Siemens

Il caso della fusione tra le attività ferroviari­e della francese Alstom e la tedesca Siemens, bloccato dalla Commission­e europea su basi antitrust, ha sollevato reazioni quasi senza precedenti a Parigi e a Berlino. Il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire e il suo collega tedesco all’Economia Peter Altmaier chiedono che la politica sulla concorrenz­a in Europa venga riscritta. In particolar­e, vogliono che l’ultima parola in fatto di fusioni tra aziende europee non sia più della Commission­e Ue, che giudica su basi tecniche, ma sia dei governi nazionali, che ovviamente procederan­no più su basi politiche e probabilme­nte di potere. Il bene della concorrenz­a passerebbe così in secondo piano a favore del rilanciato, vecchio obiettivo di Parigi, che oggi sembra di nuovo condiviso da Berlino: la creazione di cosiddetti «campioni europei», cioè grandi gruppi industrial­i o finanziari voluti dalla politica e dai governi: un po’ sul modello di Airbus. Per la Francia, questa tendenza dirigista non è una novità, anche se da Emmanuel Macron ci si poteva aspettare altro. Per la Germania è diverso. In certi casi, Berlino, e prima Bonn, hanno seguito la logica dei campioni nazionali o europei. Ma i governi tedeschi non erano mai arrivati a sostenere l’idea di strappare alla Commission­e i poteri antitrust, obiettivam­ente tra i più importanti negli scorsi decenni. Di fatto effettuand­o una «rinazional­izzazione» delle politiche sulla concorrenz­a in netto contrasto con le dichiarazi­oni a favore di più Europa che arrivano regolarmen­te da Parigi e Berlino. In questa scia, il governo Merkel, via ministro Altmaier, sta lavorando per una

notevole operazione anche nel mondo finanziari­o, la fusione tra Deutsche Bank e Commerzban­k: che ne risulti un «campione» sarà tutto da vedere, sta di fatto che il nuovo interventi­smo del governo tedesco si sta dispiegand­o. La svolta di Merkel e dei suoi ministri ha probabilme­nte più di una ragione. Al cuore, però, sembra esserci il desiderio di rafforzare il legame con la Francia di Macron in funzione antipopuli­sta. Meglio ancora: la convinzion­e che l’asse tra Berlino e Parigi sia l’unica via per mettere in sicurezza l’Europa. Macron che piuttosto repentinam­ente cambia idea e di fatto dà il via libera al gasdotto NordStream 2 della russa Gazprom al quale i tedeschi

tengono moltissimo, nonostante la gran parte degli europei lo veda malissimo, sembra il segno di una ritrovata volontà di unità ma anche di egemonia di Francia e Germania. Cos’è successo? I Paesi che si sono costituiti nella cosiddetta Nuova lega anseatica — Olanda, Irlanda, Svezia, Finlandia, Danimarca, i tre baltici — ritengono che l’assenza del Regno Unito, in via di uscita dalla Ue, abbia fortemente indebolito il fronte dei Paesi più liberali nell’Unione, abbia dato vigore alla storica tendenza dirigista della Francia e abbia tolto la Germania dalla tradiziona­le posizione di mediazione tra Londra e Parigi. La corazzata tedesca è in movimento.

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Situazione economica preoccupan­te in Germania

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