Branco di ‘unicorni’ a Wall Street
Un branco di ‘unicorni’ sta per invadere Wall Street. La mitica creatura con il corpo da cavallo e un lungo corno in mezzo alla fronte può quest’anno prendere il posto del Toro come simbolo della Borsa americana in rialzo, se si avverano le previsioni di
Secondo questi ultimi infatti nel 2019 si quoteranno moltissime di quelle startup che fino a ieri avevano preferito rimanere private, crescendo con i finanziamenti del venture capital fino a raggiungere valutazioni stratosferiche: dal miliardo in su, un livello mai visto in passato, che è valso loro il soprannome di “unicorni”.
Il debutto con Lyft
Il primo a debuttare sarà il servizio di autisti via app Lyft, che ha già fissato il roadshow (presentazione agli investitori) nella settimana del 18 marzo. Poi potrebbe esserci l’Ipo (Initial public offering, offerta iniziale pubblica di azioni) di Pinterest – la piattaforma social di ricerca e scambio di immagini – che ha appena iniziato la procedura “confidenziale” per la quotazione e punta a realizzarla in giugno. Anche PagerDuty, Slack, Uber e Zoom hanno approfittato del nuovo tipo di pratica “confidenziale” per depositare i documenti necessari alla Sec (Security and exchange commission), l’autorità americana di controllo sui mercati finanziari. Era stata una novità introdotta nel 2012 dall’allora presidente Barack Obama con il Jobs act, che permetteva alle “aziende emergenti in crescita” con un fatturato inferiore al miliardo di dollari di registrare alla Sec i documenti per l’Ipo senza doverlo annunciare pubblicamente; consentiva loro anche di parlare con gli investitori prima di registrarsi con la Sec, il tutto per evitare l’imbarazzo pubblico nel caso poi decidessero di rimandare l’Ipo.
Con Trump boom di Ipo, ridotte le barriere burocratiche
Due anni fa l’attuale governo di Donald Trump ha allargato la possibilità di ricorrere alla procedura “confidenziale” alle startup di tutte le dimensioni, riducendo le barriere burocratiche anche per gli “unicorni”. Questo, secondo il Wall Street Journal, è uno dei motivi del boom di Ipo di “unicorni” previsto per quest’anno. Un’altra ragione, più generale, è il buon andamento dell’economia americana e di Wall Street, in rialzo del 10% da inizio anno (misurato con gli indici Dow Jones e S&P500, oltre il 12% con l’indice del Nasdaq). In particolare poi le startup tecnologiche sono confortate dalle ottime performance di quelle che si sono quotate nel 2018: in media le loro azioni si sono rivalutate del 39% dal prezzo dell’Ipo contro la media dell’11% di tutte le Ipo (secondo un’analisi di Dealogic aggiornata a inizio marzo).
Blocco solo temporaneo, ora verso nuovi record
Se nei primi due mesi del 2019 non ci sono ancora state Ipo è solo a causa del temporaneo blocco dell’amministrazione pubblica federale che a gennaio ha fermato tutte le pratiche, spiegano gli esperti. Ma ora la macchina ha ripreso a funzionare e, salvo nuovi intoppi, quest’anno il totale dei capitali raccolti con le Ipo potrebbe addirittura superare il record di 107,9 miliardi di dollari realizzato nel 1999. Una data, questa, che genera un po’ di ansia perché è la vigilia dello sboom delle dot.com e del crollo del Nasdaq della primavera 2000. A differenza di allora gli “unicorni” oggi hanno fatturati in crescita, ma spesso sono anche in profondo rosso.
Il caso di Lyft e Uber
Lyft – così come il suo concorrente Uber – è proprio in questa condizione: il suo fatturato 2018 è stato di 2,16 miliardi di dollari, oltre il doppio del 2017 (1,06 miliardi), ma allo stesso tempo sono cresciute anche le perdite nette da 688 a 911 milioni di dollari. Una particolarità della Ipo di Lyft è che i suoi autisti riceveranno un bonus con l’opzione di usarlo per comprare le sue azioni: 1’000 dollari a chi ha effettuato almeno 10mila corse entro il 25 febbraio scorso, 10mila dollari a chi ne ha fatte 20mila. I banchieri che curano l’offerta sperano di raccogliere più dei 15 miliardi di dollari
della valutazione di Lyft basata sull’ultimo investimento privato, avvenuto all’inizio del 2018.
Plusvalenze a chi?
A portarsi a casa ricche plusvalenze sarà una lunga lista di attuali investitori: la società giapponese di e-commerce Rakuten, che possiede il 12,2% di Lyft; la casa automobilistica americana General motors che ne ha il 7,3%; la società di venture capital Andreessen Horowitz (5,9%) e anche Alphabet (Google, 5%). Dopo il debutto in Borsa i due fondatori di Lyft John Zimmer e Logan Green – rispettivamente il presidente e l’amministratore delegato (Ceo) – resteranno con il 7% delle azioni, ma manterranno il controllo dell’azienda, perché ognuna delle loro azioni avrà il diritto a 20 voti, grazie alla struttura della doppia classe di azioni – ordinarie e con ultra poteri di voto – già adottato da molte aziende high-tech come la stessa Alphabet e Facebook. L’“unicorno” più atteso e con la valutazione più astronomica – 72 miliardi di dollari che i banchieri sperano di far salire a 120 – resta Uber. Il suo Ceo Dara Khosrowshahi ha promesso la quotazione entro il 2019, ma ha anche detto di non avere fretta e che andrà in Borsa “quando è pronto”.