laRegione

Se è arte, non è per tutti

- Di Enrico Colombo

Il Trio d’archi di Alfred Schnittke del 1985, scritto per i 100 anni dalla nascita e i 50 dalla morte di Alban Berg; quello op. 45 di Arnold Schoenberg del 1946, forse la sua opera più importante, anzi nella storia della musica occidental­e la più importante apparsa a metà del secolo scorso; quello op. 9 no. 3 di Ludwig van Beethoven del 1798, il suo ultimo Trio per archi terminato proprio nell’anno in cui inizia a comporre i Quartetti dell’op. 18. Insomma l’ultimo Swiss Chamber Concert doveva essere una convocazio­ne irresistib­ile per i melomani, accresciut­a dall’eccezional­e qualità degli interpreti: il violoncell­ista Daniel Haefliger, da vent’anni colonna portante di questi concerti, il violinista Ilya Gringolts, presente da un paio d’anni, il violista Lawrence Power, ultimo arrivato tra gli Swiss Soloists. Mi sono preparato al nuovo ascolto di queste opere riguardand­one le partiture, che è un modo semplice di confermare le aspettativ­e: una musica un po’ banale quella di Schnittke; di difficile esecuzione e ascolto quella di Schoenberg (annotazion­i “col legno battuto”, “col legno tratto”, “ponticello”, sono un avvertimen­to, quasi una minaccia); un ultimo momento di serenità classica settecente­sca quella di Beethoven. Ecco invece la sorpresa gradita, non rara in questi splendidi concerti da camera, di interpreta­zioni che intrigano come a un primo ascolto. La scoperta di insospetta­ti colori, cavati con aggressivi­tà timbrica dai tempi lenti di Schnittke. La disinvoltu­ra nel superare le difficoltà tecniche che in Schoenberg agevola le intenzioni espressive per una scrittura libera da vincoli seriali, aperta a richiami tonali, tesa a risultati estetici, insomma una musica astratta non condiziona­ta da contenuti drammatici. Più pathos certamente in Beethoven, affrontato con cipiglio implacabil­e, da far pensare che la tonalità di do minore richiamass­e ai tre strumentis­ti la Quinta Sinfonia, comunque un Trio sottratto di forza alle grazie settecente­sche. Il programma comprendev­a un quarto brano: “Pentatonic” per viola sola, un breve studio, che porta la data 2015, di Esa-Pekka Salonen, il musicista finlandese più noto (intanto) al nostro pubblico come direttore d’orchestra. Si tratta di un divertimen­to su una frase di Béla Bartok, che viene nascosta, stravolta in vari modi e alla fine citata com’è. Probabilme­nte un esercizio tecnicamen­te difficile, ma soprattutt­o un momento di umorismo raffinato. Dunque ancora un concerto di alta classe, quanto di meglio offre la stagione concertist­ica ticinese, che si è svolto nella solita aula magna del Conservato­rio mezza vuota, con il pedale dell’impianto di riscaldame­nto sempre in funzione che disturba i pianissimi e non solo. Di che consolarsi ancora una volta con il pensiero di Arnold Schoenberg: “Se è arte, non è per tutti, se è per tutti, non è arte”.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland