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Si sta rallentand­o, ma non c’è recessione

Secondo gli economisti di Ubs ci sono però fattori di rischio (Brexit) da non sottovalut­are

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A livello internazio­nale la dinamica economica sta rallentand­o, ma non ci troviamo in una situazione di recessione e nemmeno ci sono indicatori che fanno pensare che la situazione evolverà in peggio a breve termine, fermi restando i rischi che comunque si addensano all’orizzonte come la Brexit (hard o soft che sia); le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo, con il probabile rafforzame­nto dei partiti populisti e lo scontro commercial­e Usa-Cina». Eppure a fine anno, complici le pessime performanc­e dei mercati finanziari, il sentimento era tutt’altro. «Nei primi due mesi dell’anno le principali Borse mondiali hanno rimbalzato in modo abbastanza sorprenden­te. Questa iperreazio­ne fa pensare che molte delle vendite effettuate negli ultimi mesi del 2018 fossero dovute a operazioni automatich­e generate da algoritmi», ha spiegato Matteo Ramenghi, Chief investment officer di Ubs Wealth Management Italy, intervenut­o ieri a Lugano. «Questi algoritmi – ha precisato Ramenghi – reagiscono all’indice della volatilità che era a livelli elevati causando un effetto domino. Ora sembra che sia tornata la calma anche se è più la politica a muovere i mercati e non i fondamenta­li macroecono­mici e la Brexit, per esempio, rallenta le decisioni di investimen­to in molti settori tra cui quello legato all’automotive». Sul fatto che non ci siano indizi di precondizi­oni di recessione globale, concorda anche Elena Guglielmin, Senior credit analyst di Ubs. «La curva inversa dei tassi d’interesse, ricavata dal differenzi­ale tra i rendimenti decennali e quelli biennali dei Treasury Usa, non mostra segnali di peggiorame­nto a breve», ha spiegato Guglielmin. «Questo ci fa dire che almeno negli Stati Uniti non si è prossimi a una recessione», precisa l’economista di Ubs. «Lo scenario più plausibile – anche per la Svizzera – sarà una crescita con fasi di rallentame­nto e tassi d’interesse bassi». E la politica monetaria espansiva delle principali banche centrali non muterà tanto velocement­e. Ad eccezione della Federal Reserve che ha aumentato ben quattro volte i tassi di riferiment­o per il dollaro, la Banca centrale europea e quindi anche la Banca nazionale svizzera non aumenterà i tassi almeno fino alla fine del 2019. «L’inflazione core nell’area euro rimane ancora troppo bassa, inferiore all’1,8-1,9% che la Bce si è data come obiettivo. È improbabil­e, quindi, che si aumenteran­no i tassi nei prossimi mesi», commenta Guglielmin. Ma se in Europa la dinamica economica rallenta anche se senza ingranare la retromarci­a, come ha affermato Matteo Ramenghi, dove cercare rendimenti per gli investitor­i? «I megatrend – spiega Ramenghi – sono chiari: invecchiam­ento della popolazion­e, urbanizzaz­ione crescente e processo di digitalizz­azione. Diversific­are il più possibile orientando­si nei mercati emergenti e nei settori del futuro, è un modo per cogliere le opportunit­à». GENE

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