Strano silenzio della Svizzera sull’Arabia Saudita
La settimana scorsa al Consiglio per i diritti umani a Ginevra, 36 Stati hanno firmato una dichiarazione congiunta con la quale chiedevano all’Arabia Saudita di collaborare incondizionatamente con le Nazioni Unite per fare luce sull’assassinio del giornalista Jamal Kashoggi, e di liberare le attiviste per i diritti delle donne in carcere da quasi un anno. A sorpresa la Svizzera non ha ritenuto utile (...)
Segue da pagina 12 (...) sottoscrivere questa dichiarazione. La ragione ufficiale invocata dal portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri: il nostro ministro Ignazio Cassis aveva già evocato il nome di Jamal Kashoggi nel suo discorso di apertura della sessione del Consiglio per i diritti umani. Una scusa per lo meno tirata per i capelli, ma che ricorda la dichiarazione del nostro presidente durante il Wef a Davos: il caso Kashoggi è “risolto”, le re- lazioni tra Svizzera e Arabia Saudita potranno quindi normalizzarsi. In seguito alle reazioni di fronte a queste dichiarazioni, Ueli Maurer ha poi detto che il suo pensiero era stato mal interpretato. La Svizzera sembra quindi fare un nuovo passo verso la normalizzazione delle relazioni con uno Stato che viola allegramente i diritti fondamentali. Per riassumere: l’Arabia Saudita impone severe limitazioni alla libertà d’espressione, molti scrittori e difensori dei diritti umani sono arrestati arbitrariamente e incarcerati senza che contro di loro sia stata pronunciata alcuna condanna, nel Paese si ricorre ancora alla pena capitale tramite decapitazione pubblica e le donne subiscono massicce discriminazioni, quali il divieto di lavorare, viaggiare o sposarsi senza l’autorizzazione di un tutore uomo. Qualcosa è cambiato nella politica svizzera, e purtroppo non nella buona direzione: quattro anni fa, quando il giovane blogger saudita Raif Badawi aveva subito una pena di 50 frustate in pubblico (dopo la sua condanna a dieci anni di carcere e 1’000 frustate), il Consiglio federale aveva reagito e chiesto alle autorità saudite di rinunciare alla flagellazione. La Svizzera era stata tra i primi Stati ad alzare la voce di fronte a questa barbarie. La presidente del Consiglio federale aveva anche incontrato la moglie di Raif, Ensaf Haidar, durante la sua visita in Svizzera qualche mese più tardi, fatto che certamente aveva per lo meno infastidito i sauditi. Oggi la Svizzera tace sulla situazione ancora drammatica dei diritti umani in Arabia Saudita. La difesa degli interessi economici ha la priorità sui diritti fondamentali. Una perdita di credibilità per il nostro Paese e soprattutto la messa in discussione di un’istituzione quale il Consiglio per i diritti umani, voluto e difeso dal governo svizzero.