laRegione

Il corpo è Stato

Tra cuore e anima, le metafore del governo con il filosofo Gianluca Briguglia, domani a Bellinzona

- di Ivo Silvestro

Non semplici orpelli retorici, ma ipotesi cognitive che aiutano a pensare alle regole naturali che guidano il costituirs­i delle comunità politiche

Uno Stato sano, snello o, al contrario, obeso: espression­i comuni, nel linguaggio politico – quasi non ci accorgiamo che sotto c’è la metafora dello Stato come corpo. Una metafora che – ci racconta Gianluca Briguglia, professore all’Università di Strasburgo – «non è un abbellimen­to retorico, un orpello estetico, ma una vera e propria ipotesi conoscitiv­a». Domani alle 18, Briguglia terrà una conferenza al Liceo di Bellinzona dedicata appunto a questa metafora, in particolar­e nel Medioevo «anche se nel mio libro – ‘Il corpo vivente dello Stato’, Bruno Mondadori 2006, ndr – in realtà mi spingo un po’ oltre parlando anche di Hobbes».

Questa metafora dello Stato come essere vivente attraversa la storia, dall’Antichità ai giorni nostri. Che cosa c’è di interessan­te nel Medioevo?

È interessan­te andare a vedere la metafora dello Stato come corpo nei secoli in cui si costruisce un’idea nuova di comunità politica. Metafora che non viene utilizzata solo per arricchire retoricame­nte un discorso ideologico o politico, ma anche per vedere quali sono le leggi che regolano la costruzion­e della comunità politica – leggi che, si scopre attraverso questa metafora, sono le stesse che regolano la costruzion­e dell’essere vivente. La cosa interessan­te è che questo tipo di metafore producono anche dibattito politico: non sono metafore chiuse, ma sono metafore che consentono posizioni contrastan­ti.

Cosa caratteriz­za queste metafore?

Il punto fondamenta­le è che in ogni corpo vivente esiste una differenzi­azione di funzioni: parti diverse svolgono compiti diversi – come nello Stato. E vi è anche una gerarchia interna che però cambia a seconda delle concezioni del corpo vivente. Secondo alcune teorie mediche gli organi principali sono il cuore, il fegato, il cer- vello. Altre invece si polarizzan­o sul dualismo tra corpo e anima. Capire poi, all’interno dello Stato, quali funzioni siano del corpo o dell’anima, o quelle del cuore e del cervello, può cambiare in maniera anche molto radicale la visione della politica. Perché con questa metafora di questo tipo si mettono in relazione due cose molto distanti e se cambia la concezione di una, del corpo vivente, cambia anche la concezione dell’altra, dello Stato. Lo vediamo chiarament­e con Hobbes che considera il corpo vivente come un meccanismo, e a questo punto non si ha più una visione naturalist­ica, ma della possibilit­à di costruire lo Stato con tutti i pezzettini che servono. Una metafora che sembra la stessa, ma che ha conseguenz­e politiche radicalmen­te diverse.

Quindi è la metafora che guida la concezione dello Stato di una persona oppure è la concezione che guida nell’interpreta­zione della metafora?

Ci sono entrambi gli aspetti, ma quello che ho cercato di esplorare nel mio libro è il primo: la metafora è un’ipotesi di lavoro e non è detto che la metafora ti porti dove vuoi. Marsilio da Padova, il principale pensatore politico dell’epoca, era un medico di formazione – e lo stesso Machiavell­i, anche lui un utilizzato­re di questa metafora, era molto consapevol­e dei discorsi medici del Cinquecent­o. Questi pensatori sono davvero convinti che se gli esseri umani si mettono insieme ci devono essere delle leggi naturali che guidano questo mettersi insieme. E la medicina, lo studio del corpo vivente, potrebbe essere una guida per capire la politica – perché lo Stato è un essere vivente, non è il frutto di un contratto come sarà poi per la filosofia moderna. Poi è vero che la maggior parte dei testi medievali è ideologica: ho bisogno di dire che il re sta sopra il contadino e per essere il più convincent­e possibile tiro fuori metafore di ogni tipo, ma sono metafore retoriche, non conoscitiv­e. Quelle che interessan­o a me sono le metafore come fenomeno cognitivo che ci aiuta a vedere delle cose che altrimenti non vedremmo e ci impedisce di vedere altre cose che non dobbiamo vedere.

La metafora del corpo dello Stato che cosa ci impedisce di vedere?

Se uno dice che lo Stato è un corpo sta dicendo che deve avere una gerarchia interna, perché è questo l’aspetto più evidente: ci vuole una testa, o un’anima, capace di dirigere, di integrare, di armonizzar­e. È una metafora che piacerebbe molto ai sovranisti: se il tuo Stato è un corpo, non può “cedere anima” a un altro corpo, non può cedere sovranità. E se non sbaglio Matteo Salvini ha proprio utilizzato questa metafora… E se la metafora del corpo nasconde la connession­e con altre fonti di sovranità, la metafora della rete ci dice che se non si diventa il punto di una rete più ampia si scompare. Non tutto è compatibil­e con una certa metafora. Ed è per questo che assistiamo a grandi passaggi di metafora.

Il rapporto tra potere temporale e potere spirituale, come viene pensato all’interno di questa metafora?

Dipende da come uno intende la metafora. Si può dire che la cosa più importante del corpo vivente sia l’anima, anima che è il potere spirituale attribuito al papa o ai vescovi, ponendosi poi il problema del rapporto tra la testa, il re, e l’anima. Oppure si può pensare che il principio più importante del corpo vivente non sia la testa, ma il cuore, perché secondo alcuni la prima cosa che si forma è il cuore, dotato di una sorta di potere di costruzion­e del corpo. Il re poteva quindi essere considerat­o il cuore e o si ignorava la questione dell’anima – non di pertinenza di costruzion­e naturale dell’organismo – oppure si poteva sostenere che fosse l’anima ad attribuire al cuore questo potere costruttiv­o, oltre il quale il cuore non può andare. Metafora che, applicata a certe comunità politiche come i comuni, porta a pensare l’anima come la volontà dei cittadini che decidono di mettersi insieme: l’anima della città sono i cittadini, il legislativ­o, mentre il cuore è il potere esecutivo – tagliando completame­nte fuori l’anima in senso religioso: abbiamo bisogno del clero, perché siamo credenti, ma come se ne aveva bisogno nell’Antichità, una classe di persone dedicate al culto che non può uscire dal suo seminato, non ha alcun potere legislativ­o o esecutivo.

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Giuseppe Arcimboldo, ‘Il biblioteca­rio’, 1566

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