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Le solitudini inquiete di Bonaviri

- di Luca Pascoletti

Vivere significa affrontare, e saper affrontare, ogni giorno il dolore. Il proprio, oppure quello degli altri. Lo sa bene il protagonis­ta di Martedina, il primo racconto di questa bellissima raccolta di testi di Bonaviri, L’infinito lunare. E se la sofferenza altrui ci ferisce ancora più della nostra, per quel senso di impotenza che genera, allora tanto vale lasciarsi tutto alle spalle, la moglie Martedina e i bambini, l’ospedale dove lavora come medico, il tentativo mal riuscito di mettersi in affari e via, partire, aggregarsi ad un equipaggio di tecnici e scienziati per un viaggio senza ritorno nello spazio. Uno spazio muto, ostile, freddo, infinito, ma nel quale il pericolo maggiore non arriva dall’esterno, dalle condizioni estreme, dagli asteroidi vaganti, dalle radiazioni, bensì dal di dentro: il male che viene dalla memoria. E ad uccidere non è la nostalgia, ma il fatto stesso che non si riesca a recidere quel filo di memoria che ci lega al no- stro mondo, alla nostra terra, e quel filo ad un certo punto si strappa per il troppo tirare e così lacera anche noi. Bonaviri ci mostra un’umanità che è destinata a perdersi perché crede che il passato sia qualcosa di reale, mentre in un certo senso non è altro che memoria. Un’umanità che vive in un infinito presente sospeso tra due non-esistenze (passato e futuri). Un’umanità tesa alla dissoluzio­ne che però non è morte, non è disfacimen­to: Realtà immensa, la sua. Sarà un fiume di atomi. Vivrà un’eternità.

L’infinito lunare di Giuseppe Bonaviri ultima ed. Bompiani, 2008 265 pagine

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