La casa degli anticorpi
Ricerca d’avanguardia per affrontare, in tempi rapidi, infezioni e pandemie. Inaugurati ieri i nuovi laboratori bellinzonesi di Humabs, start up dell’Irb ora di proprietà statunitense.
Inaugurati, ieri a Bellinzona, i nuovi laboratori della Humabs BioMed, start up dell’Irb attiva nella ricerca sugli anticorpi monoclonali umani, importanti strumenti per prevenire o curare malattie infettive. La nuova sede, ha spiegato il direttore Filippo Riva, permetterà di potenziare la ricerca in un settore d’avanguardia.
Finita la parte ufficiale con i discorsi delle autorità sull’importanza, per l’economia e la società ticinese, del settore biomedico, ci avviamo verso i due laboratori: indossati camice bianco e sovrascarpe, varchiamo la prima porta ed entriamo nell’area di livello 1. Qui, ci spiegano, è dove vengono sviluppate e purificate le colture di anticorpi. Perché è questo che fa la Humabs BioMed, azienda nata nel 2004 quale emanazione dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina per sfruttare commercialmente uno dei brevetti dell’Irb – e, ha ricordato ieri il direttore dell’istituto Antonio Lanzavecchia, superare un problema di finanziamenti. La Humabs è stata acquisita, nel 2017, dalla statunitense Vir Biotechnology che, per non perdere le sinergie con l’Irb, ha deciso di mantenere la sede a Bellinzona, con nuovi laboratori che – ha spiegato il direttore della Humabs Filippo Riva – gettano le basi per una ricerca ancora più di alto livello. E ce ne accorgiamo varcando un’altra porta e accedendo all’area di biosicurezza 2 dove, tra macchinari e misure di sicurezza, questi anticorpi vengono isolati e identificati. «Gli anticorpi – ci ha spiegato il Ceo di Vir George Scangos – sono molecole che i nostri corpi producono in risposta a una malattia: quando ci prendiamo un raffreddore, guariamo grazie agli anticorpi che combattono il virus». L’idea è «prendere questi anticorpi, isolarli dalle persone che li producono, sintetizzarli e purificarli per darli alle persone i cui corpi non riescono a produrli, in modo da proteggerle». Siamo abituati a combattere le infezioni con gli antibiotici. Perché usare gli anticorpi? «Gli anticorpi – ci spiega Filippo Riva – sono molto specifici», vale a dire che ogni anticorpo va a colpire un tipo specifico di virus o batterio, senza attaccare il resto. Gli antibiotici – che comunque sono efficaci solo per le infezioni batteriche e non per quelle virali – «sono un po’ come una bomba atomica, uccidono tutti, buoni e cattivi ma noi, nel nostro corpo, abbiamo bisogno di alcuni batteri, ad esempio per la digestione». Anticorpi specifici ma non troppo perché una delle possibili applicazioni riguarda la protezione, ad ampio spettro, dei virus influenzali. «L’influenza – spiega Riva –, che conosciamo non solo nella forma stagionale ma anche in quella delle epidemie o addirittura pandemie come la Spagnola nel 1918, è un virus che muta molto, cambia il suo modo di essere e questo rende molto difficile azzeccare il vaccino». Quello che presto sarà testato «è un anticorpo che, sulla base dei dati storici, riesce a neutralizzare tutti i virus dell’influenza conosciuti, il che ci fa pensare – la certezza non l’abbiamo – che questo anticorpo si leghi al virus in un punto in cui, per una serie di motivi, non può mutare… una sorta di tallone d’Achille dell’influenza». L’efficacia dipende, quindi, da quanto è buono e potente l’anticorpo che viene identificato. Ma non solo: è anche questione di somministrazione. «In questo momento – aggiunge Riva – in Congo si stanno testando quattro anticorpi per l’Ebola, tra cui il nostro che viene dato, in endovena, per mezz’ora e può essere liofilizzato, semplificando il trasporto. Un altro anticorpo deve essere mantenuto congelato, con tutti i problemi logistici che ne conseguono, e richiede più somministrazioni di un’ora. Quanto tempo ci vuole per avere questi anticorpi? «Il ciclo, da quando si comincia a lavorare in laboratorio a quando si ha la medicina disponibile sul mercato, va dai 10 ai 15 anni e richiede un investimento da uno a due miliardi: troppo, in molti casi». Le fasi? «Nel nostro laboratorio, lavorando a ritmo serrato, in uno o due mesi potremmo trovare, partendo da dei campioni di sangue, degli ottimi anticorpi, ingegnerizzarli e avere una prima prova di efficacia; ma poi c’è la produzione: non è una reazione chimica, dobbiamo clonare delle cose viventi, il che richiede normalmente otto milioni e due anni». Ma anche qui si possono, forse, accelerare i tempi, grazie a un sistema, che Humabs sta sperimentando per il virus Zika, che prevede di somministrare non gli anticorpi ma un frammento di Dna per farli produrre direttamente dal corpo.