laRegione

Come fermare l’odio diffuso

- Di Pedro Ranca Da Costa, già collaborat­ore dell’Ufficio dell’integrazio­ne degli stranieri

Il progresso economico e sociale della società e del mondo di oggi è minato alle basi da una crisi economica e sociale ben più profonda e radicata, che è un po’ anche causata da una scarsa sensibilit­à del nostro mondo politico nell’essere vicino ai cittadini senza fare differenze ma in modo egualitari­o. Gli immigrati sono diventati il bersaglio di un odio immotivato, che vede lo straniero responsabi­le di tutto ciò che è brutto e cattivo. Questo è un sentimento vivo anche nei singoli paesi, che mettono in secondo piano le riforme e il sostegno agli immigrati. Così il sostegno, l’asilo politico, l’accoglienz­a e la possibilit­à per questi di lavorare, genera odio e rancore anche da parte dei cittadini del luogo, un tempo più disponibil­i all’integrazio­ne. I cittadini si sentono abbandonat­i e sono delusi dalla politica, gli immigrati e i clandestin­i, che vivono nel paese con privilegi che i cittadini residenti si sognano, diventano capro espiatorio.

Segue da pagina 15 (...) Inoltre, le notizie di stranieri che uccidono, rubano, violentano e compiono crimini nel nostro paese non mancano. Certamente gli immigrati devono darsi ancora più da fare per dimostrare di essere persone attive e ben integrate, che rispettano le regole di comportame­nto e le regole del vivere comune vigenti in Svizzera e che rispettano le istituzion­i. Questa è una storia che si ripete: l’immigrato e il nero sono visti come il nemico da combattere, sono stati oggetto in passato di quest’odio anche gli europei, che hanno lasciato l’Europa per lavorare all’estero. In una raccomanda­zione del Consiglio d’Europa il discorso dell’odio è stato definito come l’istigazion­e, la promozione o l’incitament­o alla denigrazio­ne, all’odio o alla diffamazio­ne nei confronti di una persona o di un gruppo di persone; o il fatto di sottoporre a soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizz­azione o minacce tale persona/gruppo. Chiunque può diventare oggetto di questa forma di odio e per motivi futili. Ma se si appartiene a particolar­i gruppi sociali, se si condividon­o caratteri somatici o culturali minoritari nella società in cui si vive, si può essere oggetto di insulto, denigrazio­ne e incitament­o all’odio solo per questo, a prescinder­e da ciò che si è, si è fatto e si fa. In questi casi il discorso dell’odio si innesta spesso su fenomeni di stereotipi e discrimina­zione. Nella nostra società il linguaggio dell’odio non si affida più solo alla comunicazi­one faccia a faccia o tramite la stampa. Trova un potente mezzo di diffusione sui social media, caricandos­i di una forza distruttiv­a troppo spesso fuori controllo. Nelle sue raccomanda­zioni la Commission­e insiste sull’azione di autocontro­llo che dovrebbero esercitare i media rispetto al linguaggio che utilizzano e alla qualità dell’informazio­ne. Lo stesso autocontro­llo dovrebbe essere esercitato da chi ha un ruolo pubblico, a cominciare dai politici. Altrettant­o, se non più importante, è l’opera di formazione che dovrebbe essere promossa dalle scuole, per educare al rispetto degli altri nelle loro molteplici diversità e all’uso critico delle informazio­ni e degli strumenti di comunicazi­one. Sono necessarie anche norme punitive per chi incita all’odio e al dileggio. Ma senza una azione di prevenzion­e rischiano di rimanere inefficaci.

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