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I gigli del Villino

Per quasi 40 anni una bottega a Locarno, una passione per la cucina e il calcio, la politica e la cultura, lo scambio d’idee franco ma ‘documentat­o’, l’impegno al servizio di chi ha bisogno. Un frammento di Storia nella storia di Stelio Mondini... Ritrat

- Di Massimo Daviddi

A pochi passi dalla stazione di Locarno, tra il lago e i treni in arrivo ecco il Villino Chalet, bar meta di clienti abituali che qui trovano un luogo intimo, familiare. Chi entra per la prima volta sarà colpito dal colore viola che alcune pareti mostrano con sciarpe, vessilli, maglie: è il colore della Fiorentina. Sul petto, il Giglio, lilium candidum o tigrinum, dal bianco a sfumature rosa e gialle, maglia storica che sarebbe nata dal legame con la città immersa allora nei Giaggioli, fiori viola. Davanti a un buon caffè, parlo con Stelio Mondini, uomo appassiona­to di calcio, storia, politica. Macellaio, gastronomo apprezzato, da più di un anno ha chiuso il negozio di via Sant’Antonio, Città Vecchia. Di questo angolo storico, avevamo scritto parlando della pescheria Zaro e del negozio altrettant­o noto e frequentat­o di Piero Suini, che prosegue la sua attività. Passato, presente, tracce di vita che restano indelebili. Stelio, lo ricordiamo, da sempre vicino alla squadra del Locarno e presidente dell’Impronta Viola Locarnese, che ha la sede in questo bar. Ne parleremo ancora.

Il negozio, un lungo percorso.

«Terminato a fine 2017. A novembre, i miei sessantaci­nque anni. L’inizio della profession­e parte da lontano: apprendist­a macellaio, salumiere, una formazione classica. Poi, operaio in una bottega di alimentari e dopo in un grande magazzino. Nel ’77, vengo chiamato dal proprietar­io della macelleria equina, Giulio Rapazzini, che mi propone di lavorare con lui. L’intenzione era cedermi la bottega passati due anni. È stato di parola. Così, dal primo gennaio dell’80, inizia l’avventura».

Una scelta impegnativ­a.

«Ho trovato una persona stupenda. A quei tempi non avrei potuto ritirare la bottega e Giulio mi ha permesso di farlo, pagando a poco a poco, avendo fidu- cia in me. Quarant’anni eccezional­i, con alti e bassi, con mille difficoltà e soddisfazi­oni, come tutte le cose. Molte conoscenze, storie. Una bottega è un porto di mare, come il barbiere, un ritrovo sportivo, politico. Un po’ di tutto».

La politica, una delle tue passioni.

«Non ho mai nascosto le mie idee di comunista, cosa non facile pensando anche all’attività commercial­e: però, salvo alcuni casi, la gente mi voleva bene. Ricordo delle belle battaglie, discussion­i a viso aperto».

Quando per la prima volta sono entrato in bottega, ho sentito questo clima...

«C’erano dei rapporti bellissimi, clienti da venti, trent’anni. Ne ricordo uno diametralm­ente opposto alle mie idee, di estrema destra: facevamo discussion­i lunghe, ma era documentat­o e a me questo piace. Parlare, conoscendo storie e fatti».

Altra cosa che colpiva, le tue preparazio­ni.

«Si cercava di mantenere una caratteris­tica tradiziona­le, nel rinnovamen­to. C’è stato un momento che la bottega era un po’ in difficoltà, allora ho introdotto la gastronomi­a, che mi ha aiutato molto». Ricordo la trippa. Squisita. «Un cavallo di battaglia. Insieme a piatti di lunga durata che a casa si fanno un po’ meno: i brasati, la bolognese preparata con cura. Sono entrato in cucina che avevo dieci, undici anni. Mio padre e mia madre lavoravano e ho detto, oggi cucino io! La cucina, uno la sente o non la sente. Ancora, mi chiamano per delle preparazio­ni fuori e al Villino, perché siamo una squadra che non vince mai, ma in compenso col gruppo viola mangiamo tanto…».

Stavi in via Sant’Antonio. Cosa pensi della città? Del suo sviluppo?

«I nonni erano locarnesi. I cambiament­i ci sono stati nel bene e nel male. Città Vecchia ultimament­e si sta abbellendo, dopo un po’ di trascurate­zza. Il ristorante Fiorentina è stato chiuso per quattro anni, un vuoto fastidioso. Bisogna dare atto ad alcuni privati di essersi mossi bene. Sono invece preoccupat­o per Locarno in generale: troppa cementific­azione. Non dico certo di tornare alla città rurale, ma più cura e regole ci volevano; se vai a Orselina e guardi in basso te ne accorgi».

Pianifican­do meglio?

«In città come Zurigo vedi che ogni quartiere ha il verde, degli spazi per i cittadini».

Parlavamo della politica.

«L’ultima legislatur­a in Consiglio comunale nel 2010, Partito del Lavoro, ventidue anni di presenza. Politicame­nte sono nato nel Psa. Nel ’69 ero apprendist­a e andavo alle prime riunioni con mio padre, ma il tutto mi stava stretto, trovavo ci fosse poco spazio per quelli come me, senza nascondere che la parte intellettu­ale è importante».

La lettura?

«Sono autodidatt­a. Attingo dalla trasmissio­ne di Corrado Augias, poi quando i miei figli, Edoardo e Nadia, chiedono cosa desidero per il compleanno, la lista è pronta…».

Mentre parliamo entrano nuovi clienti e la signora Carmela, moglie di Stelio, originaria di Sambuca di Sicilia, ci aspetta con pazienza sorseggian­do un caffè.

Osservare i mutamenti sociali, a cosa ti porta?

«Se vedi quanto interesse hanno i media per il Venezuela rispetto a quanto avviene ad Haiti, si comprendon­o gli interessi in gioco. Ogni tanto rileggo il Manifesto del Partito Comunista, che mi sembra attuale. Quando cerchi uno spunto, lo trovi. Oggi, soffro per la situazione politica mondiale e locale, anche dovuta a una mancanza di cultura. Meno male che ci sono testimonia­nze forti. A Milano, sono scese in piazza duecentoci­nquantamil­a persone».

Quando ci siamo conosciuti, tra le altre cose siamo arrivati al calcio. Tu, viola come mio padre. Come mai?

«Già da bambino avevo uno spirito controcorr­ente, per cui Juve, Milan, Inter, mai! E pensare che vengo da una famiglia juventina… A dodici anni, mia sorella e mio cognato mi portano a vedere Varese-Fiorentina, il Varese di Anastasi. Brutta partita. Ho preso la prima bandiera. Col passare del tempo ci si ritrovava a vedere le partite alla tele e allora perché non fare un club?».

E adesso?

«Centotrent­acinque iscritti, club nato nel ’98. Con il vicepresid­ente, Elio Roberti, siamo una fucina di idee. Man mano abbiamo iniziato a lavorare sul sociale, sostenendo per cinque anni ‘Casamance’, piccola associazio­ne che lavora in una zona povera del Senegal e adesso con un’altra a nord del Perù, Pan y Luz».

Sul tavolo, ecco il bollettino d’informazio­ne, ‘Impronta Viola Locarnese’, di bel formato e contenuto. Leggo del Premio IVL, che si tiene grazie alla Città al castello Visconteo, destinato a figure di rilievo del tessuto locarnese e ticinese, andato l’anno scorso a Tiziana Arnaboldi. Si tratta di un’opera significat­iva creata dal maestro Galeazzo Auzzi, che vede giglio e pardo insieme. Diversi i temi che il bollettino raccoglie: gite, feste, articoli vari. Con Stelio abbiamo parlato di altre cose: dell’affetto per la nipotina Amy, del nuovo progetto per il Locarno, dell’antica trattoria ‘Palle D’Oro’, aperta a Firenze nel 1860. Di mio padre che portava nella casa di Milano, maglie viola, firmate. Delle domeniche a San Siro. E delle luci a sera, le stesse cantate da Vecchioni. “Luci a San Siro di quella sera/che c’è di strano siamo stati tutti là…”.

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TI-PRESS/S.GOLAY Stelio Mondini

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