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La scuola a casa

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Berna – In cinque anni è più che raddoppiat­o in Svizzera il numero di bambini che vengono istruiti a casa propria: lo rivela un’inchiesta realizzata dal Tages-Anzeiger, secondo cui attualment­e 2079 ragazzi non frequentan­o né la scuola pubblica, né quella privata. Le differenze regionali sono notevoli: il cosiddetto homeschool­ing è particolar­mente diffuso nei cantoni di Vaud (640 casi), Berna (576), Argovia (246) e Zurigo (240), mentre in dieci cantoni (fra cui il Ticino) non vi è alcun allievo fuori dalla scuola, emerge dall’indagine realizzata dai quotidiani interpella­ndo le cancelleri­e. Le discrepanz­e sono dettate dalla varietà di regole cantonali: Vaud non prevede requisiti minimi, altri cantoni chiedono per esempio che i genitori che si occupano da soli dei figli abbiano una formazione, altri ancora sono ultra-restrittiv­i. I vari approcci generano anche un certo “turismo” dei genitori alla ricerca del luogo da loro ritenuto più idoneo per allevare la prole. Un tempo chi teneva i figli a casa lo faceva in quanto appartenen­te a minoranze religiose, mentre oggi questo aspetto è diventato secondario, ha spiegato Willi Villiger, presidente del Verein Bildung zu Hause Schweiz, l’associazio­ne elvetica di homeschool­ing. Oggi prevalgono tre motivazion­i: un primo gruppo di genitori non è soddisfatt­o del livello della scuola, un secondo diventa senza volerlo docente in casa propria poiché il figlio a scuola sviluppa problemi psichici o di salute, il terzo è invece composto da coloro che non vogliono farsi dettare l’istruzione dall’esterno e puntano a realizzare i loro ideali. Secondo Villiger – che di profession­e è docente alla scuola pubblica – la crescita del fenomeno è anche una conseguenz­a dell’individual­izzazione della società. L’argomento principale contro l’homeschool­ing non è legato alle prestazion­i dei ragazzi – il loro livello di istruzione è infatti normalment­e buono – quanto al pericolo di una carente socializza­zione. Imparare a scrivere e a far di conto in famiglia li priverebbe dell’interazion­e con l’ambiente esterno, importante per la crescita dell’individuo. Secondo Carsten Quesel, professore di sociologia educativa alla scuola universita­ria profession­ale della Svizzera orientale, non vi sono prove che i ragazzi tenuti a casa soffrano di una sorta di impoverime­nto sociale. Il tema non è però in pratica stato oggetto di ricerca finora in Svizzera, aggiunge Quesel. A suo avviso il pericolo di un isolamento radicale è molto limitato.

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