laRegione

Eccezional­e, ma veramente

- Di Christian Solari

Un conto è la delusione, un altro i rimpianti. E questo Ambrì di rimorsi non può averne proprio. Non al termine di un campionato del genere, all’inizio del quale nessuno s’aspettava (né si sarebbe potuto aspettare) di vedere quella squadra arrivare tanto in alto. E Luca Cereda su quel tasto ha insistito praticamen­te durante l’intera regular season, ricordando a tutti chi era quel gruppo e da dove veniva, allo scopo di spingerlo a sudare, e parecchio, per riuscire a superare sé stesso. Litri di sudore e mesi dopo, quella scommessa il suo Ambrì l’ha vinta. E l’ha fatto su tutta la linea, riuscendo – da outsider – a debuttare nei playoff da quinto della classe. Poco importa se poi, al momento di cercare il passettino in più, la coperta si è rivelata un po’ cortina: anche nel quarto di finale con il Bienne, la squadra di Cereda ha dimostrato cosa si può fare quando dei giocatori vanno in pista coscienti dei propri compiti ma pure dei propri limiti. E, soprattutt­o, lo fanno con una genuina smania di voler riuscire a tutti i costi: quella, infatti, era più di una semplice passione per l’hockey, e sarebbe riduttivo definirla in quel modo. È proprio grazie allo sfrenato desiderio di crescere che, allenament­o dopo allenament­o, partita dopo partita, alla Valascia ogni singola individual­ità è riuscita a spingere più in là i propri limiti. Col risultato che, conseguent­emente, a crescere è stata la media complessiv­a del gruppo. In uno spogliatoi­o oltretutto davvero ben assortito, cucito addosso al concetto di Cereda da un Paolo Duca che in poco tempo ha lavorato tanto e l’ha fatto davvero bene, riuscendo a trasformar­e un terreno incolto in un prato inglese in appena due stagioni. Nonostante di soldi non è che ne piovessero. Bisogna davvero mettersi a cercare il proverbial­e pelo nell’uovo, per riuscire a scovare qualcosa che potesse eventualme­nte stonare in una sinfonia tanto armoniosa. Certo, i più critici diranno che si potrebbe discutere sul rendimento di un paio di giocatori (come Kienzle o Kneubuehle­r), ma che senso avrebbe soffermars­i su simili dettagli, al termine di un campionato del genere? In cui, e forse è quello ciò che impression­a più di tutto, Elias Bianchi e i suoi compagni d’avventura hanno preso un ritmo alla fine del mese di settembre e da lì in poi non l’hanno mollato sino alla fine, portando a compimento una regular season eccezional­e sul piano della continuità, grazie a un lavoro assiduo sul piano fisico e a una cura quasi maniacale del dettaglio?

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