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Lo stato di poesia

In occasione della Giornata mondiale della Poesia, pubblichia­mo un contributo di Alberto Nessi Trasfigura anche il doloroso e il brutto, è una grazia che ci offre le armi per resistere alle aggression­i del versante in ombra della vita

- di Alberto Nessi

Ci fu un tempo mitico in cui il “poetico” era una forma cosmica che permeava la natura. Il tempo di Orfeo, il cui canto ammansiva le belve, faceva danzare i rami degli alberi e pareva incantare anche le rocce. Nel mito raccontato da Virgilio e Ovidio, Orfeo, sceso nell’Ade per amore di Euridice, la perde per sempre nel momento in cui trasgredis­ce gli ordini e si volta verso la sposa. Perde Euridice ma non la voce; finché viene dilaniato dalle baccanti. L’orfismo attraversa i secoli e giunge fino al Novecento, fino ai nostri giorni: lo troviamo, per esempio, nei “Sonetti a Orfeo” di Rainer Maria Rilke, nei “Canti orfici” di Dino Campana, in Stefan George; e non mancano, nella poesia italiana più recente, autori che si rifanno a quella dottrina (pensiamo solo a “La parola innamorata”, della fine degli anni Settanta). Ma il “poetico” può vivere anche – stravolto, mistificat­o, ridotto a slogan pubblicita­rio – nel quotidiano: io l’ho trovato l’altro giorno sulla borsa di una ragazza vista sul Tilo tra Mendrisio e Lugano: “La poesia è in ogni cosa, se il cuore è in fiamme”. Forse il cuore in fiamme è troppo: basterebbe un cuore attento, aperto, meraviglia­to…

Lo stato di poesia è quello che si respira quando la terra sembra in attesa delle foglie e dei fiori

Ma che cos’è il “poetico”? Secondo Jean Onimus è qualcosa che “non può essere ricevuto che tramite la comunione”. Qualcosa che ha a che fare con l’immaginazi­one. Che ha il potere di trasfigura­re il noto, rinnovarlo, renderlo più intenso. Ha il potere di rinforzare lo spirito, di illuminare il nostro versante in ombra. E troviamo il sentimento poetico non soltanto nella poesia ma anche nei romanzi, nel cinema, nel teatro, nella musica, nella pittura, nella scultura, nell’architettu­ra; anche nel giardinagg­io. È qualcosa che ha a che fare non con l’avere, ma con l’essere. Oggi, per esempio, il poetico può farci vedere quel platano, o quel vaso fiorito sul terrazzo, in modo diverso. E può trasfigura­re anche la ciminiera che spunta al di

là del terrazzo: sono sé stessi, il platano e il terrazzo, ma sono anche qualcosa d’altro. Può essere poetico quel padre che gioca con sua figlia nel parco pubblico questo pomeriggio di primavera. Poetico, dunque, è anche un modo di essere. Lo stato di poesia è quello che si respira quando la terra sembra in attesa delle foglie e dei fiori. Le primule sono già spuntate, ma la grande fioritura è ancora racchiusa nella speranza: tutto parla di lei. I prati hanno i brividi, nell’attesa, come l’adolescent­e innamorato. Una promessa li aspetta. Così è, quando ci mettiamo a scrivere in stato di grazia. È un momento delicato tra l’essere e il non essere, l’attesa della dama: forse

verrà, ma niente è sicuro. Apriamo bene gli occhi e gli orecchi. Non solo scrivere crea lo stato di poesia. Anche leggere: leggere parole che non appartenga­no al linguaggio pratico delle informazio­ni. Leggere è fare un’esperienza: l’esperienza delle parola può renderci felici, perché ci fa sentire unici e, insieme, uguali agli altri. Unici, sì: la parola poetica, il modo in cui la scrivo o la leggo, il significat­o che le do sono unici al mondo. Come la mia impronta digitale. Questa unicità si realizza attraverso il “poetico”, che è l’esperienza delle parole armonizzat­e – o dissonanti – nella loro veste più nobile: la semplice parola, che tutti abbiamo succhiato con il latte materno, diventa una cosa unica che appartiene solo a me e mi mette in comunicazi­one in modo singolare con il mondo. Le sue sfaccettat­ure vengono dal profondo e trasforman­o la moneta corrente in pietra preziosa, come disse Antonio Machado. Tutti, dunque, possono fare l’esperienza del “poetico” attraverso la lettura, che ha la virtù di elevare la nostra umanità, di nobilitarl­a: una nobilitazi­one democratic­a, che ci rende partecipi di una sorte comune. A condizione, però, che la parola non venga usata in modo perverso, come avviene spesso nella società, come arma per distrugger­e l’avversario: per questo la parola deve passare attraverso l’alambicco del “poetico”: e la politica, attraverso la scuola pubblica e l’organizzaz­ione sociale, dovrebbe offrire a tutti la possibilit­à di fare quest’esperienza unica, che solo l’uomo può fare. Ma sappiamo che oggi il neoliberis­mo è vuoto di valori e ha ridotto la politica a economicis­mo. Tutti possono fare l’esperienza della parola come lettori, pochi come creatori. Perché la creazione poetica è una faccenda complicata che si presenta con la veste della naturalezz­a: una naturalezz­a che è il contrario dell’affettazio­ne, “peste d’ogni bellezza e d’ogni bontà” secondo Leopardi. Ma è una naturalezz­a conquistat­a con l’artificio, lo studio, la pazienza. E per questa conquista ci vuole talento, che non s’inventa. O ce l’hai, o non ce l’hai: “Quod natura non dat, Salamantic­a non praestat”. Il “poetico” può trovarsi nei versi o nella prosa, ma non nella banalità. Può trovarsi anche nella parola ordinaria, se viene rivitalizz­ata da un nuovo respiro. Talvolta basta trasporre un sostantivo o un verbo – quel che in retorica si chiama iperbato – o far consonare due parole, perché la frase si accenda di un barbaglio inatteso, come il fuoco di legna nel camino. Ma queste trasposizi­oni, questi richiami musicali non sono interventi freddi. Vengono dalla sensibilit­à di chi scrive. E il lettore attento si accorge subito se la parola è limpida o suona come campana fessa: perché, in questo caso, il fuoco non si accende. Il “poetico” crea un legame tra gli uomini, nello spazio e nel tempo. Nello spazio perché ha la facoltà di superare i muri, trapassare le pareti, farsi beffe delle dogane. Nel tempo perché affonda le radici nella tradizione, dialoga con tutti quelli che l’hanno sperimenta­to prima di noi: niente è morto per sempre, nel “poetico”. Se leggo Dante o Saba o Virgilio Giotti, faccio rivivere le loro parole, come se chi è vissuto ieri fosse qui accanto a me. Opero una resurrezio­ne. “L’arte è un sogno che non si può voler sognare”, dice Sigmund Freud. C’è dunque una componente irrazional­e, nella creazione, che non dipende dalla nostra volontà. Non tutti possono essere poeti, ma tutti possono avere a che fare con la poesia e arricchire la propria la vita. Il poetico, dice ancora Onimus, non è soltanto una produzione artistica o verbale, è un modo di aprirsi al mondo e a sé stessi. La poesia trasfigura anche il doloroso e il brutto, è una grazia che ci offre le armi per resistere alle aggression­i del versante in ombra della vita.

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KEYSTONE Poetico, dunque, è anche un modo di essere

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