‘Soprattutto, che si curi’
Processo bis (ancora in contumacia) al piromane di Solduno. L’accusa chiede 9 anni sospesi Borelli: ‘Aveva un piano, ed era una strage’. La difesa: ‘Voleva solo fare danni. Il trattamento stazionario? Lo rifiuta, che chance di successo avrebbe?’.
«Bene, ci siamo tutti... o quasi». È con un velo di ironia che ieri mattina la giudice Giovanna Roggero-Will ha sottolineato la nuova assenza dell’imputato – dopo quella al processo di prima istanza – al dibattimento in Appello da lei presieduto a Locarno contro il 58enne che due anni fa, in piena notte, diede fuoco alla cantina dello stabile in cui abitava, in via Franzoni a Solduno. Un’assenza giustificata dalla patologia psichiatrica dell’uomo – che si sente minacciato da tutto ciò che esula dalla sua sfera di protezione, oggi costituita dal luogo di detenzione – ma “coperta”, in qualche modo, da un memoriale di 17 pagine inviato due settimane fa alla Corte. In quel memoriale, verosimilmente, l’uomo fa riferimento ai motivi per i quali nella notte sul 2 marzo 2017 decise di scendere nella cantina dello stabile in cui viveva, cospargerla di benzina e appiccare poi il fuoco, con l’obiettivo, asserito dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli, di incendiare la palazzina e uccidere tutti quelli che vi abitavano. La loro colpa: averlo disturbato. Chi strimpellando sul pianoforte, chi mettendo in funzione la macchina da lavare dopo le otto e mezza di sera, chi non togliendosi immediatamente le scarpe con i tacchi dopo il rientro a casa. La strage fu evitata grazie a un’esplosione che, alle 3, strappò al sonno famiglie e anziani residenti e diede modo al portinaio di chiamare i pompieri. Ne seguirono comunque «momenti di vero panico – ha aggiunto Borelli –. E se non fosse stato per quel botto, oggi saremmo qui a versare molte lacrime». Interminabili attimi di panico che l’avvocato degli inquilini, Felice Dafond, ha circostanziato illustrando singole situazioni e cupi pensieri di «persone semplici che alloggiavano in una casa dignitosa ma modesta; molte di loro, senza assicurazione incendio». Le conseguenze, ha spiegato Dafond, si perpetuano e sono di carattere medico, finanziario e psicologico.
Quattrocento chili di lettere
Durissime, ancora – dopo quelle già pronunciate di fronte alle Assise criminali che l’11 aprile scorso avevano inflitto al piromane una pena di 7 anni sospesi – le parole della pubblica accusa. Borelli ha riconosciuto la «grave patologia» dell’imputato; un uomo capace di costruirsi un tetro castello di fisime, di vivere costantemente nel sospetto, cercando e segnalando screzi (scrivendo ad esempio 400 chili di lettere all’amministrazione dello stabile) e persino di ideare un “patto di convivenza” fra condomini «all’esterno del quale tutto diventava intollerabile», ha ricordato la magistrata. Un grottesco percorso per giungere infine a rimediare una disdetta «che gli avrebbe fatto perdere il suo rifugio. È lì che ha iniziato ad insinuarsi il piano – ha detto Borelli –. Ma doveva essere qualcosa di eclatante, che lasciasse il segno: distruggere il palazzo e chi vi abitava; ma anche uccidere la compagna – che senza di lui, credeva, non ce l’avrebbe fatta – e poi suicidarsi». Movente e modalità furono «particolarmente odiosi – per Borelli –. E non si trovano le parole per definire la gravità di un simile agire». La procuratrice pubblica ha infine ribadito la richiesta di una pena di 9 anni per i reati di tentato assassinio plurimo, incendio intenzionale, contravvenzione alla Legge federale sulle armi (per l’autentico arsenale che fu rinvenuto nell’appartamento dell’uomo), rappresentazione di atti di cruda violenza e pornografia. «Ma poco importa l’entità della pena – ha concluso la procuratrice –: occorre un trattamento psichiatrico in una struttura chiusa perché quel disturbo deve e può essere curato». Non facile, certamente, il lavoro della difesa. L’avvocato Deborah Gobbi ha cercato di ridimensionare i propositi del suo assistito, che «non aveva alcun piano, non voleva fare una strage, ma soltanto arrecare un danno allo stabile e all’immobiliare, e causare disagi agli inquilini». La legale ha chiesto una pena non superiore ai 4 anni e, quanto al trattamento stazionario, ha riflettuto: «Se lui in primis la rifiuta, quali chance ha la misura di avere successo?». Per oggi è attesa la sentenza della Corte, completata dai giudici a latere Rosa Item e Matteo Galante e dagli assessori giurati.