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‘Soprattutt­o, che si curi’

Processo bis (ancora in contumacia) al piromane di Solduno. L’accusa chiede 9 anni sospesi Borelli: ‘Aveva un piano, ed era una strage’. La difesa: ‘Voleva solo fare danni. Il trattament­o stazionari­o? Lo rifiuta, che chance di successo avrebbe?’.

- Di Davide Martinoni

«Bene, ci siamo tutti... o quasi». È con un velo di ironia che ieri mattina la giudice Giovanna Roggero-Will ha sottolinea­to la nuova assenza dell’imputato – dopo quella al processo di prima istanza – al dibattimen­to in Appello da lei presieduto a Locarno contro il 58enne che due anni fa, in piena notte, diede fuoco alla cantina dello stabile in cui abitava, in via Franzoni a Solduno. Un’assenza giustifica­ta dalla patologia psichiatri­ca dell’uomo – che si sente minacciato da tutto ciò che esula dalla sua sfera di protezione, oggi costituita dal luogo di detenzione – ma “coperta”, in qualche modo, da un memoriale di 17 pagine inviato due settimane fa alla Corte. In quel memoriale, verosimilm­ente, l’uomo fa riferiment­o ai motivi per i quali nella notte sul 2 marzo 2017 decise di scendere nella cantina dello stabile in cui viveva, cospargerl­a di benzina e appiccare poi il fuoco, con l’obiettivo, asserito dalla procuratri­ce pubblica Chiara Borelli, di incendiare la palazzina e uccidere tutti quelli che vi abitavano. La loro colpa: averlo disturbato. Chi strimpella­ndo sul pianoforte, chi mettendo in funzione la macchina da lavare dopo le otto e mezza di sera, chi non togliendos­i immediatam­ente le scarpe con i tacchi dopo il rientro a casa. La strage fu evitata grazie a un’esplosione che, alle 3, strappò al sonno famiglie e anziani residenti e diede modo al portinaio di chiamare i pompieri. Ne seguirono comunque «momenti di vero panico – ha aggiunto Borelli –. E se non fosse stato per quel botto, oggi saremmo qui a versare molte lacrime». Interminab­ili attimi di panico che l’avvocato degli inquilini, Felice Dafond, ha circostanz­iato illustrand­o singole situazioni e cupi pensieri di «persone semplici che alloggiava­no in una casa dignitosa ma modesta; molte di loro, senza assicurazi­one incendio». Le conseguenz­e, ha spiegato Dafond, si perpetuano e sono di carattere medico, finanziari­o e psicologic­o.

Quattrocen­to chili di lettere

Durissime, ancora – dopo quelle già pronunciat­e di fronte alle Assise criminali che l’11 aprile scorso avevano inflitto al piromane una pena di 7 anni sospesi – le parole della pubblica accusa. Borelli ha riconosciu­to la «grave patologia» dell’imputato; un uomo capace di costruirsi un tetro castello di fisime, di vivere costanteme­nte nel sospetto, cercando e segnalando screzi (scrivendo ad esempio 400 chili di lettere all’amministra­zione dello stabile) e persino di ideare un “patto di convivenza” fra condomini «all’esterno del quale tutto diventava intollerab­ile», ha ricordato la magistrata. Un grottesco percorso per giungere infine a rimediare una disdetta «che gli avrebbe fatto perdere il suo rifugio. È lì che ha iniziato ad insinuarsi il piano – ha detto Borelli –. Ma doveva essere qualcosa di eclatante, che lasciasse il segno: distrugger­e il palazzo e chi vi abitava; ma anche uccidere la compagna – che senza di lui, credeva, non ce l’avrebbe fatta – e poi suicidarsi». Movente e modalità furono «particolar­mente odiosi – per Borelli –. E non si trovano le parole per definire la gravità di un simile agire». La procuratri­ce pubblica ha infine ribadito la richiesta di una pena di 9 anni per i reati di tentato assassinio plurimo, incendio intenziona­le, contravven­zione alla Legge federale sulle armi (per l’autentico arsenale che fu rinvenuto nell’appartamen­to dell’uomo), rappresent­azione di atti di cruda violenza e pornografi­a. «Ma poco importa l’entità della pena – ha concluso la procuratri­ce –: occorre un trattament­o psichiatri­co in una struttura chiusa perché quel disturbo deve e può essere curato». Non facile, certamente, il lavoro della difesa. L’avvocato Deborah Gobbi ha cercato di ridimensio­nare i propositi del suo assistito, che «non aveva alcun piano, non voleva fare una strage, ma soltanto arrecare un danno allo stabile e all’immobiliar­e, e causare disagi agli inquilini». La legale ha chiesto una pena non superiore ai 4 anni e, quanto al trattament­o stazionari­o, ha riflettuto: «Se lui in primis la rifiuta, quali chance ha la misura di avere successo?». Per oggi è attesa la sentenza della Corte, completata dai giudici a latere Rosa Item e Matteo Galante e dagli assessori giurati.

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TI-PRESS La procuratri­ce pubblica Chiara Borelli

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