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Hervé Barmasse e la montagna

- Di Thomas Schürch

Incontro con il forte scalatore valdostano che fin da bambino si porta appresso il soprannome di ‘figlio del Cervino’. ‘Cerco sempre un luogo in cui poter essere sereno’.

Per Hervé Barmasse l’alpinismo non è solamente un lavoro o un hobby. È una passione sincera, calda, genuina e profonda. Una forza che lo scuote e lo spinge a faticare per migliorars­i. Un aspetto fondamenta­le della sua esistenza, una realtà che fa parte del suo vissuto e del suo mondo. Da generazion­i.

Panorami unici al mondo, albe chiare e limpidi cieli azzurri. Paesaggi mozzafiato ammirati nel silenzio più totale. Questa è la vita di Hervé Barmasse. Nato in Valtournen­che, Valle d’Aosta, figlio, nipote e pronipote di guide alpine locali, il suo destino pareva già scritto prima ancora di venire al mondo. Invece la sua vita aveva preso una piega totalmente diversa. «Sognavo di diventare sciatore profession­ista, ma un infortunio a 16 anni mi ha costretto a rinunciare – ricorda Barmasse –. Così a 18 sono diventato maestro di sci e sono andato a vivere da solo. Facevo una bella vita: indipenden­za economica, un lavoro gradevole, festa tutte le sere. Ma a un certo punto non ero più soddisfatt­o. Ho capito che avevo bisogno di qualcosa di diverso, perché la mia routine era diventata noiosa». E così il ritorno alle origini, alla “sua” montagna, il Cervino, scalata per la prima volta in un gelido mese di febbraio assieme al padre. Esperienza che ha avuto su Hervé un impatto poten- tissimo e gli ha fatto capire «che cosa volessi realmente fare da grande. La salita non è stata piacevole, anzi. Continuavo a lamentarmi per il freddo e la fatica. Ma mio papà insisteva perché proseguiss­i. Poi, una mattina, ci siamo svegliati molto presto e ho potuto assistere a uno spettacolo impareggia­bile. Stava albeggiand­o e il cielo si è colorato di diverse sfumature; prima rosso, poi viola, blu e poi di nuovo rosso. Non avevo mai visto niente di simile. Lì è scattato qualcosa dentro di me. Ho capito che il mio desiderio era quello di diventare guida alpina».

Gli insegnamen­ti necessari

La voglia di osare, di tentare, di spingersi sempre più in là è forte. Ma in questa disciplina bisogna tenere conto di alcune regole. Anche Barmasse le ha dovute imparare sulla sua pelle. Dopo avere aperto la sua prima via sul Cervino, durante il ritorno è rimasto bloccato assieme a un compagno ed è stato costretto a passare la notte all’addiaccio. «Le corde non volevano saperne di scivolare. Sarebbe bastato scioglierl­e un po’, ma questi sono trucchi che si imparano con il tempo. Ecco la prima cosa di cui devi tenere conto quando fai una scalata: l’esperienza di cui disponi». L’altra lezione Hervé l’ha appresa durante una salita in solitaria affrontata senza imbragatur­a. Ripartito dopo una sosta, è scivolato ricadendo su un terrazzino di pochi centimetri. Ripresosi dallo spavento, il valdostano è ripartito. «Al mio ritorno c’era un amico ad attendermi, e mi ha scattato una fotografia. Il flash mi ha abbagliato per un attimo e ho come ritrovato la lucidità. Prima mi sentivo in una sorta di trance. In quel momento ho compreso l’enorme sciocchezz­a che avevo fatto e ho imparato la seconda regola: in montagna ci vuole anche fortuna». Dopo avere tracciato nuove strade sul Cervino, dopo le scalate in Patagonia, nel 2017 Hervé ha deciso che era giunto il momento della grande sfida: la scalata del suo primo ‘8’000’. Barmasse si è così recato in Tibet assieme al collega David Göttler per raggiunger­e la vetta della parete ovest dello Shisha Pangma. Ormai prossima alla partenza, la coppia è stata fermata da una telefonata che informava i due della scomparsa dell’amico scalatore Ueli Steck. «Colpo durissimo per entrambi». Un’altra telefonata, poco dopo, annunciava l’imminente arrivo di una perturbazi­one per il giorno seguente. «Pareva una follia. Salire e scendere in una giornata. Ma ho convinto David a tentare. Non potevo rinunciare. Siamo partiti dalla base a 5’800 metri e dopo sole 13 ore eravamo a quota 8’025, a soli tre metri dalla vetta, eppure ci siamo fermati. Quei tre metri facevano la differenza tra vivere e morire. A volte mi chiedono se io la viva come una sconfitta o un successo. Al di là che Reinhold Messner al Festival di Trento dichiarò che non sono quei pochi passi che mancano a fare la differenza, ma piuttosto l’avere deciso di sfidare il mio primo 8’000 in modo pulito e in una sola giornata, sono convinto che se scegli la vita sei sempre un vincente».

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‘Un allenament­o serio e costante permette di mantenere le proprie prestazion­i su ottimi livelli’

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