Conflitto latente ma non risolto
È stato facile per Donald Trump abbattere la fragile diga della risoluzione Onu 497 del 1981, che dichiara illegittima l’annessione israeliana delle Alture del Golan, occupate nel corso della guerra “dei sei giorni” nel 1967. Molto meno facile potrebbe rivelarsi la gestione del sommovimento originato dall’annuncio. Come d’uso, e con cinismo non nuovo, Trump ha sostenuto di avere “riconosciuto” una situazione di fatto. Ma non sfuggono a nessuno i tempi e il contesto dell’annuncio: l’avvicinarsi delle elezioni legislative anticipate israeliane e le difficoltà del premier Netanyahu, la cui reazione è stata, comprensibilmente, la più entusiasta. Che poi questo padrinato finisca necessariamente per tradursi in una ripresa dei consensi persi da Netanyahu è messo in dubbio da diversi commentatori. E in ogni caso, una volta passate le elezioni, lo scenario regionale non sarà mutato. Una delle ragioni che Trump ha addotto per il riconoscimento della sovranità israeliana sul Golan è quella della sicurezza. Tradotto, trattandosi di territorio siriano: “minaccia iraniana”. La guerra civile siriana ha fornito a Teheran un’ottima occasione per insediare proprie basi e reparti in Siria, ciò che per Israele (forse uno dei pochi argomenti su cui c’è unanimità) non può che venire interpretato come un disegno di avvicinamento al proprio territorio con intenzioni ostili. Quale vantaggio strategico può venire a Israele da un atto politico che poco cambia lo stato sul terreno, ma molto la temperatura politica che vi grava? Il corrispondente della Bbc da Gerusalemme ha osservato che ridare fuoco a un conflitto latente come quello del Golan potrebbe generare più guai che vantaggi: sulla sua “liberazione” finirebbe per concentrarsi una coalizione di Hezbollah, pasdaran e nostalgici della “grande guerra antisionista”. Che sarebbe difficile fermare con salve di tweet.