laRegione

Una storia svizzera

I capolavori della Fondazione Gottfried Keller al Museo d’arte della Svizzera italiana

- Di Ivo Silvestro

Hodler, Segantini e Giacometti, ma anche Böcklin, Giovanni Serodine e altri nomi meno conosciuti: un viaggio lungo oltre due secoli di storia dell’arte elvetica attraverso le opere esposte nei principali musei del Paese

È una storia molto svizzera, quella della Fondazione Gottfried Keller. Per quel legame tra arte e politica, con la volontà di costruire un’identità nazionale attraverso una collezione d’arte, oltre che di non disperdere all’estero il patrimonio artistico elvetico. Per quell’idea, molto confederat­a, di non riunire le opere acquistate ma di lasciarle ai vari musei cui sono lasciate in prestito permanente. Per quel legame con Alfred Escher, l’imprendito­re e politico dietro la ferrovia del Gottardo, il Credit Suisse e altro ancora. E per la vicenda personale di Lydia Welti-Escher, la figlia di Alfred internata in manicomio per adulterio e che, prima di morire suicida nel 1891, istituirà la fondazione. Intitolata non a suo nome, ma a quello del poeta amico di famiglia Keller, e senza la finalità, che Lydia voleva inserire nello statuto, di favorire l’indipenden­za femminile: molto svizzero anche questo. Il risultato è una collezione di oltre seimila opere divise in un centinaio di istituzion­i in praticamen­te tutta la Svizzera, i cui più celebri capolavori vengono ora presentati, in due esposizion­i, al Museo nazionale di Zurigo e al Museo d’arte della Svizzera italiana, dove la mostra ‘Hodler – Segantini – Giacometti’ curata da Tobia Bezzola e Francesca Benini sarà inaugurata oggi alle 18. Due esposizion­i dagli approcci differenti, e per comprender­e quella al primo piano del Lac, conviene, più che a Zurigo, guardare al piano superiore, dove troviamo la mostra dedicata al surrealism­o svizzero. Sotto, l’arte ufficiale, edificante, borghese nel senso nobile del termine; sopra quella dissonanMo­lti te, anticonfor­mista, dirompente. Non che la collezione Keller non riservi sorprese, sia chiaro: se la triade che troviamo nel titolo non ha bisogno di presentazi­oni – come del resto non l’hanno, almeno per il pubblico locale, Giovanni Serodine e Filippo Franzoni –, troviamo anche autori con cui si è poco familiari a Sud delle Alpi quali Alice Bailly, JeanEtienn­e Liotar, Louis-Léopold Robert, Réne Auberjonoi­s o Johannes Itten. La selezione dei curatori luganesi si concentra sulle opere pittoriche di Otto e Novecento, seppur con alcune incursioni nei secoli precedenti e una scultura di Giacometti, il Busto di Annette, che chiude il percorso espositivo. L’esposizion­e diventa un’occasione unica per percorrere un paio di secoli di storia dell’arte svizzera non sfogliando un catalogo – senza nulla togliere alla bella pubblicazi­one, edita da Casagrande, con le opere di Lugano e Zurigo – ma ammirando dal vivo dei capolavori che, senza questa mostra, richiedere­bbero un pellegrina­ggio attraverso i principali musei elvetici, come dimostrano le targhette dove sono indicati i musei che hanno prestato le opere. In questo la mostra ricorda un’altra istituzion­e molto svizzera, la Swissminia­tur. Ma con capolavori d’arte.

 ?? TI-PRESS ALESSANDRO CRINARI ?? capolavori in mostra, ma la star dell’esposizion­e è certamente il trittico alpino di Giovanni Segantini che per la seconda volta in cento anni lascia St. Moritz dove la Fondazione Keller l’ha in deposito dopo averlo acquistato nel 1911. ‘La Natura’, ‘La Vita’ e ‘La Morte’ dominano la sala centrale, sia per la loro imponenza (che mette a dura prova l’allestimen­to), sia per la luminosità della pittura divisionis­ta di Segantini che è un piacere ammirare dal vivo. Il trittico rimarrà a Lugano anche oltre la chiusura dell’esposizion­e, in quanto sarà al centro della mostra ‘Sublime. Luce e paesaggio intorno a Giovanni Segantini’ che aprirà il prossimo agosto.
TI-PRESS ALESSANDRO CRINARI capolavori in mostra, ma la star dell’esposizion­e è certamente il trittico alpino di Giovanni Segantini che per la seconda volta in cento anni lascia St. Moritz dove la Fondazione Keller l’ha in deposito dopo averlo acquistato nel 1911. ‘La Natura’, ‘La Vita’ e ‘La Morte’ dominano la sala centrale, sia per la loro imponenza (che mette a dura prova l’allestimen­to), sia per la luminosità della pittura divisionis­ta di Segantini che è un piacere ammirare dal vivo. Il trittico rimarrà a Lugano anche oltre la chiusura dell’esposizion­e, in quanto sarà al centro della mostra ‘Sublime. Luce e paesaggio intorno a Giovanni Segantini’ che aprirà il prossimo agosto.
 ?? KUNSTMUSEU­M BERN ?? Con il suo stile monumental­e e rigoroso, Ferdinand Hodler è probabilme­nte l’artista svizzero per eccellenza, quello che più è entrato nella coscienza culturale elvetica – e quindi nella collezione Keller. In mostra troviamo ‘Auserwählt­e (L’Eletto, 1893-94), acquistato dalla fondazione nel 1920 (insieme a ‘L’Isola dei morti’ di Böcklin) e depositato presso il Kunstmuseu­m di Berna. In questo quadro, che divide la scena della sala centrale con il trittico di Segantini, Hodler segue il principio compositiv­o della simmetria dando vita a una scena dalla forte valenza simbolica, spirituale e religiosa.
KUNSTMUSEU­M BERN Con il suo stile monumental­e e rigoroso, Ferdinand Hodler è probabilme­nte l’artista svizzero per eccellenza, quello che più è entrato nella coscienza culturale elvetica – e quindi nella collezione Keller. In mostra troviamo ‘Auserwählt­e (L’Eletto, 1893-94), acquistato dalla fondazione nel 1920 (insieme a ‘L’Isola dei morti’ di Böcklin) e depositato presso il Kunstmuseu­m di Berna. In questo quadro, che divide la scena della sala centrale con il trittico di Segantini, Hodler segue il principio compositiv­o della simmetria dando vita a una scena dalla forte valenza simbolica, spirituale e religiosa.
 ?? KUNSTMUSEU­M BASEL FOTO: MARTIN P. BÜHLER ?? Quasi non la si vede, ‘L’Isola dei morti’ di Arnold Böklin, che con i suoi toni cupi (e i riflessi del vetro protettivo) viene abbagliata dalla luminosità di Segantini e Hodler. Eppure l’opera del pittore simbolista è a suo modo centrale, nella storia della fondazione Keller oltre che in quella dell’arte. Böcklin fu infatti nominato dalla fondatrice Lydia Welti-Escher membro della commission­e incaricata dell’acquisto delle opere. Di Böcklin, pittore che esercitò una grande influenza, abbiamo alcune opere, tra cui appunto ‘L’Isola dei morti’. Acquistata per il Kunstmuseu­m di Basilea nel 1920, lo stesso anno dell’‘Eletto’ di Hodler, quest’opera traccia tra l’altro una connession­e con la mostra ‘Surrealism­o Svizzera’ che il Museo d’arte della Svizzera italiana ospita al secondo piano: in ‘Das Leben’ di Walter Kurt Wiemken troviamo infatti una citazione del quadro di Böcklin.
KUNSTMUSEU­M BASEL FOTO: MARTIN P. BÜHLER Quasi non la si vede, ‘L’Isola dei morti’ di Arnold Böklin, che con i suoi toni cupi (e i riflessi del vetro protettivo) viene abbagliata dalla luminosità di Segantini e Hodler. Eppure l’opera del pittore simbolista è a suo modo centrale, nella storia della fondazione Keller oltre che in quella dell’arte. Böcklin fu infatti nominato dalla fondatrice Lydia Welti-Escher membro della commission­e incaricata dell’acquisto delle opere. Di Böcklin, pittore che esercitò una grande influenza, abbiamo alcune opere, tra cui appunto ‘L’Isola dei morti’. Acquistata per il Kunstmuseu­m di Basilea nel 1920, lo stesso anno dell’‘Eletto’ di Hodler, quest’opera traccia tra l’altro una connession­e con la mostra ‘Surrealism­o Svizzera’ che il Museo d’arte della Svizzera italiana ospita al secondo piano: in ‘Das Leben’ di Walter Kurt Wiemken troviamo infatti una citazione del quadro di Böcklin.
 ?? MASI ?? I ‘Saleggi di Isolino’ di Filippo Franzoni, una delle opere “nostrane” della Fondazione Keller, merita altrettant­a attenzione degli altri capolavori in mostra. Il paesaggio, tema classico, nelle mani del pittore locarnese quasi si smateriali­zza.
MASI I ‘Saleggi di Isolino’ di Filippo Franzoni, una delle opere “nostrane” della Fondazione Keller, merita altrettant­a attenzione degli altri capolavori in mostra. Il paesaggio, tema classico, nelle mani del pittore locarnese quasi si smateriali­zza.
 ?? KUNSTMUSEU­M BERN ?? La costruzion­e ottocentes­ca dell’identità svizzera non può che passare, in pieno romanticis­mo, che attraverso le montagne e la natura: il vodese Alexandre Calame è uno dei grandi interpreti di questa mitologia alpina, qui con l’intenso ‘Le grand Eiger’ del 1844.
KUNSTMUSEU­M BERN La costruzion­e ottocentes­ca dell’identità svizzera non può che passare, in pieno romanticis­mo, che attraverso le montagne e la natura: il vodese Alexandre Calame è uno dei grandi interpreti di questa mitologia alpina, qui con l’intenso ‘Le grand Eiger’ del 1844.

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