La ‘confessione’ di Battisti
Milano – “Allora” riteneva che fosse una guerra; oggi pensa che sia stata una follia. Cesare Battisti ha spiegato così la sua ammissione di responsabilità per i quattro omicidi e gli altri reati di terrorismo, per i quali sconta l’ergastolo. Arrestato in Bolivia e consegnato all’Italia dopo una latitanza pluridecennale, l’ex militante dei Proletari armati per il comunismo, una delle tante sigle dei cosiddetti “anni di piombo”, ha deposto la propria ammissione di colpa, sabato e domenica, davanti al responsabile dell’antiterrorismo milanese Alberto Nobili. Una confessione che ha dato una certezza definitiva a ciò che per la magistratura era provato da tempo, e che – secondo il legale di Battisti – non è stata resa per ottenere “benefici, ma per restituire una immagine giusta del mio assistito, che non è il mostro che è stato descritto”. Ma tale resta per l’apparato propagandistico grilloleghista che ne aveva esibito il ritorno ammanettato come un trofeo di guerra (che, se tale fu, venne comunque condotta, e a che prezzo, da altri). L’ammissione di colpa di Battisti, strumentale o no che sia, è anche una ruvida sconfessione delle pregiudiziali assicurazioni di innocenza in cui si erano trasformate le diverse forme di solidarietà nei suoi confronti. Per nove ore Battisti, incarcerato a Oristano, ha ripercorso la sua vicenda di terrorista, precisando però di non avere goduto di alcuna “copertura occulta” negli anni della latitanza in Francia, Messico e Brasile; semmai di avere potuto contare sull’appoggio “di esponenti dell’estrema sinistra” e di alcuni ambienti intellettuali, anche in virtù del suo successo di romanziere. Battisti non è un “pentito” in senso giuridico: non farà i nomi di nessuno, ha precisato. Ai familiari delle sue vittime ha porto le proprie scuse, respinte.