Quali colpe per la morte in pista
Dramma all’aeroporto di Lodrino: l’accusa chiede 16 mesi con la condizionale, la difesa l’assoluzione Un addetto alla sicurezza di Ruag deve rispondere di omicidio colposo: ‘Non ho agito per sfidare i due motociclisti’
Con un metodo «discutibile, sbagliato, insensato, sconsiderato, illogico, irrazionale, speculativo, ingiustificato e assurdo», per citare le espressioni più volte echeggiate ieri in Tribunale a Lugano, l’imputato voleva soprattutto «sfidare» quei due motociclisti che si erano permessi di percorrere a tutta velocità la pista dell’aeroporto militare di Lodrino ben sapendo che stavano facendo qualcosa di illegale? Oppure, con la modalità «che riteneva più opportuna in quel frangente, frutto dell’esperienza, della prassi e dell’incarico affidatogli dal datore di lavoro Ruag», mirava in quel modo «a garantire nel miglior modo possibile» la sicurezza aerea dello scalo? È attorno a questi interrogativi – sui quali accusa e difesa hanno esposto in aula le rispettive tesi – che dovrà ragionare il giudice Mauro Ermani per pronunciare nei prossimi giorni la sentenza a carico del 41enne del Bellinzonese accusato di omicidio colposo ed esposizione a pericolo della vita altrui. Il procuratore pubblico Nicola Respini ha chiesto 16 mesi con la condizionale, l’avvocato difensore Brenno Canevascini il proscioglimento, o in caso di condanna una drastica riduzione considerata la concolpa della vittima. A morire, la sera del 21 agosto 2014 verso le 16.15, quando lo scalo militare era ancora in funzione, è stato un ventenne della regione entrato in pista, nonostante i divieti, per lanciare a tutta velocità la propria nuova motocicletta; con lui, su una secondo moto, c’era un amico che si è invece accorto per tempo del furgone di servizio guidato dall’imputato, entrato in pista poco prima della seconda ‘sparata’ e piazzatosi nella mezzeria per indurre i due a desistere. Secondo i calcoli del perito giudiziario la moto della vittima ha sfiorato in accelerazione i 150 km/h; accortosi solo all’ultimo momento del furgone, il giovane ha invano tentato di frenare ed è morto sul colpo.
Tesi contrapposte
Durante il dibattimento è stato ricordato che lo scalo allora non era cintato (una rete è stata posata dopo) ma che vi era segnaletica indicante il divieto d’entrata; inoltre è emerso che la gestione dell’invasione della pista da parte di oggetti o persone non autorizzate non era regolamentata. Per tale gestione – ha spiegato l’imputato – facevano stato le regole del buon senso, della valutazione caso per caso: «Con un obiettivo preciso, ossia garantire la sicurezza di attività aerea, velivoli e piloti». Quel giorno, udito il rombo delle moto, «ho ritenuto opportuno recarmi col veicolo a bordo pista. Al termine della prima sparata verso nord, ho visto che i due facevano inversione a U per farne un’altra verso sud, allora sono entrato col furgone e l’ho piazzato nella mezzeria, sicuro di essere visto». Non sarebbe stato meglio restare ai lati e telefonare alla base aerea di Magadino bloccando eventuali aerei in avvicinamento? No, secondo l’imputato. Un agire «sconsiderato», per il pp Respini: «Ha agito senza scrupoli in base a una valutazione totalmente erronea, quasi fosse una sfida fra lui e loro. La sua stessa presenza in pista ha rappresentato un ostacolo alla circolazione aerea. Inoltre avrebbe quantomeno dovuto suonare il clacson e accendere fari e frecce per farsi notare». L’avvocato Pietro Pellegrini, rappresentante del padre della vittima, ha ricordato che l’imputato a verbale ha dichiarato che non era prassi entrare in pista con veicoli di servizio per bloccare intrusi. L’avvocata Francesca Nicora, legale dell’amico della vittima, ha sottolineato l’atteggiamento di sfida: «Avrebbe potuto agire in tanti altri modi, invece si è piazzato proprio sulla loro traiettoria». «Ha scelto quel punto – ha motivato l’avvocato difensore – perché i piloti è su di esso che si concentrano nella fase d’atterraggio. A ogni modo non intendeva dare lezioni a nessuno, né dimostrare superiorità, ma solo garantire la sicurezza dello scalo». Purtroppo la vittima «nel tentativo di andare il più veloce possibile ha percorso metà pista col casco abbassato sotto il cupolino della moto. Questo gli ha impedito di accorgersi del veicolo di servizio. E quando se n’è accorto era troppo tardi. Fari, frecce e clacson non gli avrebbero salvato la vita».