laRegione

Nuova Zelanda e silenzio ticinese

- Di Niccolò Salvioni

Mi ha colpito, ma non sorpreso, la domanda posta da Samir Radouan Jelassi, Imam dell’Associazio­ne islamica e centro culturale in Ticino a Lugano apparso su queste colonne di sabato. “Nuova Zelanda: il Cantone dove è?”. Quanto avvenuto il 15 marzo scorso a Christchur­ch, maggiore città dell’isola del sud in Nuova Zelanda, ove un suprematis­ta bianco ha assassinat­o a sangue freddo (...)

(...) quarantadu­e fedeli innocenti in due moschee, atto barbaro e disumano, è stato condannato in Svizzera lo stesso giorno dal Consiglio Federale, per tramite del proprio Presidente Ueli Maurer, che, esprimendo le proprie condoglian­ze ai parenti delle vittime, si è detto scioccato. La Svizzera è un paese piccolo con quasi il doppio degli abitanti della Nuova Zelanda. Si potrebbe anche pensare che, nei rapporti internazio­nali – di competenza della Confederaz­ione – tale messaggio di comparteci­pazione al dolore, per tutti noi, fosse stato bastante. Va considerat­o che molti, come il sottoscrit­to, hanno sofferto, in silenzio. Il Servizio delle attività informativ­e della Confederaz­ione (Sic) (regolato dalla nuova Legge federale sulle attività informativ­e della Confederaz­ione, LAIn), in collaboraz­ione con i cantoni, ha le competenze specifiche di acquisizio­ne di informazio­ni volte a individuar­e tempestiva­mente e sventare minacce per la sicurezza interna o esterna rappresent­ate non solo dal terrorismo ma anche dall’estremismo violento. Per l’estremismo violento, vige una disposizio­ne speciale (l’art. 5 cpv. 6 LAIn) che, quale eccezione al divieto di acquisizio­ne di informazio­ni sull’attività politica, permette l’assunzione di informazio­ni se esistono indizi concreti che una organizzaz­ione o persona eserciti (abusi) i propri diritti per preparare o eseguire attività terroristi­che o di estremismo violento. Una definizion­e internazio­nale univoca di “terrorismo” non esiste ancora, non da ultimo anche a seguito della sua difficile distinzion­e dalle lotte di liberazion­e. Sebbene i reati di terrorismo rientrano nella competenza giurisdizi­onale del Ministero pubblico della Confederaz­ione, le prime autorità che si devono occupare preventiva­mente su delega federale (segnalando indizi concreti) o intervenir­e tempestiva­mente (in caso di azioni terroristi­che o di estremismo violento), sono le polizie cantonali sul campo con loro forze delegate: Polizie comunali, Guardie di confine o Polizia ferroviari­a. Solo in un secondo tempo immediatam­ente successivo vi sarà la presa a carico da parte del Ministero pubblico della Confederaz­ione e della Polizia federale o militare, a seconda del caso. Dato che le misure di prevenzion­e rientrano nella competenza della Confederaz­ione in stretta collaboraz­ione delle autorità cantonali incaricate dell’esecuzione delle attività informativ­e, ciò significa che una grande responsabi­lità politica relativame­nte alla prevenzion­e e la repression­e di atti quali terrorismo o estremismo violento è assunta dai cantoni con le relative forze delegate. I cantoni hanno dunque il primario dovere di garantire l’ordine pubblico sul loro territorio, nei confronti di chiunque, ed in particolar­e anche di comunità che possano sentirsi minacciate, qualsiasi esse siano. Effettivam­ente risulta quindi difficile comprender­e perché né il Consiglio di Stato né il direttore del Dipartimen­to Istituzion­i Norman Gobbi si siano espressi relativame­nte a quanto avvenuto in Nuova Zelanda. A maggiore ragione se si considera che il nostro Capo dipartimen­to istituzion­i è anche membro di comitato della “Conferenza delle direttrici e dei direttori dei dipartimen­ti cantonali di giustizia e polizia”, parte anche della “Rete integrata per la sicu- rezza” quale piattaform­a di coordiname­nto di temi concernent­i la politica di sicurezza nella Confederaz­ione. Se da un lato potrebbe essere comprensib­ile una “distrazion­e” del nostro esecutivo, trovandosi tutti nel pieno di una combattuta campagna elettorale per il rinnovo dei poteri politici, non vorrei che tale silenzio potesse essere interpreta­to quale implicita condivisio­ne di taluni principi xenofobi, che – sono certo– non albergano nel nostro Governo. Oppure che tale silenzio possa essere interpreta­to forse quale desiderio del Capo Dipartimen­to Istituzion­i di preferire evitare – proprio ora – l’insorgere di un contrasto istituzion­ale con le tesi politiche avversive pubblicate periodicam­ente da Lorenzo Quadri sul “Mattino della Domenica”, quale incerto organo dell’autoprocla­mato “movimento” Lega dei Ticinesi. Periodico, quest’ultimo, sovente recante opinioni incoerenti rispetto alla politica attuata dai due – attuali – rappresent­anti in governo di tale partito. Nella Repubblica e Cantone del Ticino non esistono – né sono mai esistiti – “super-uomini” né “sub-umani”, a nessun livello. Lo Stato si fa garante del diritto alla vita e ad una esistenza dignitosa nei confronti di tutti, nel rispetto e dell’uguaglianz­a di fronte alla legge: minoranze comprese. Vorrei quindi rassicurar­e l’Imam di Lugano, come cittadino, che nel Cantone Ticino viviamo in uno Stato di diritto in cui gli organi del Cantone e della Confederaz­ione fanno del loro meglio per garantire, a tutti, il rispetto dei diritti fondamenta­li. In questo contesto, condanno fermamente quanto avvenuto in Nuova Zelanda.

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