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Per un mistero sostenibil­e

L’incontro / Fernando Astete, a Lugano il ‘guardiano di Machu Picchu’

- Di Claudio Lo Russo

Il direttore di Machu Picchu e la sua sfida per un turismo alla portata della natura e dei monumenti disseminat­i fra i 37 ettari del sito. Una questione di ‘educazione ambientale’ e soprattutt­o di ‘ricerca’...

È passato oltre un secolo da quel mattino di luglio del 1911, quando Hiram Bingham risalì fino ai resti di Machu Picchu, rimasti sepolti nella foresta per quattro secoli. Le ipotesi dell’archeologo esplorator­e, e le altre che sono seguite, si sono però rivelate errate: quella non era la “città perduta” da cui gli Inca pianificar­ono l’ultima strenua resistenza all’invasione spagnola, né una sorta di residenza estiva dei sovrani. A distanza di un secolo, la “Vetta Antica” nella Cordiglier­a delle Ande in Perù – fra dimore reali, osservator­i astronomic­i, templi, botteghe e monumental­i terrazzame­nti ad uso agricolo – conserva buona parte del suo mistero.

Non c’è conservazi­one, senza ricerca: dobbiamo formare una generazion­e, renderla più consapevol­e della propria memoria

Machu Picchu ha però mutato colore, come spiegato ieri dal suo direttore, Fernando Astete, in una conferenza all’Usi a Lugano. Il cosiddetto “guardiano di Machu Picchu”, che da trent’anni si dedica all’esplorazio­ne, allo studio e alla conservazi­one dei 37mila ettari su cui è distribuit­a quella che è considerat­a una delle Sette Meraviglie del mondo, era ospite delle cattedre Unesco di Lugano e Genova, rappresent­ate da Adine Gavazzi, e del Prorettore dell’Usi, Lorenzo Cantoni. Ha mutato colore, Machu Picchu, confrontat­o con l’afflusso sempre crescente di turisti e minacciato dagli effetti di un mutamento climatico che si avverte anche ai suoi 2’400 metri sul livello del mare. Nonostante il suo isolamento, che richiede un lungo viaggio in treno oppure in bus e a piedi lungo la spettacola­re quanto faticosa Via degli Inca, all’epoca del turismo di massa Machu Picchu

l’anno scorso ha accolto quasi un milione e mezzo di visitatori. Da gennaio 2019, dopo una fase di sperimenta­zione, sono dunque entrate in vigore le nuove normative per gestire il flusso dei visitatori: biglietti a tempo e massimo 600 ingressi al giorno. I rifiuti, forse un po’ di meno, come ci ha spiegato Astete, continuera­nno a condurli a valle i treni che si arrampican­o fin lassù. Dopotutto, il direttore di un sito archeologi­co di queste proporzion­i e di questa popolarità, deve occuparsi anche di questo. Il mistero che avvolge Machu Picchu e le

meraviglie delle civiltà precolombi­ane risiede anche nel fatto che esse non hanno prodotto documenti in cui venissero esplicitat­e le conoscenze scientific­he, i principi e le tecniche che hanno illuminato il loro sguardo. Da anni Astete però studia il complesso di competenze architetto­niche, ingegneris­tiche, idrauliche e astronomic­he che hanno portato alla costruzion­e dei 60 siti che compongono il Santuario Storico di Machu Picchu, con i suoi acquedotti, il suo sistema di costruzion­e «ecologico» e i suoi sentieri a picco su precipizi di 400 metri. E proprio una sorta di ritorno alla visione degli Inca ha suggerito la soluzione all’impatto dei turisti, visibile anzitutto nell’erosione di vie e scalini: distribuir­li fra i vari siti, comunicant­i fra loro, per un’esperienza più completa e sostenibil­e di Machu Picchu.

Ma quali sono gli altri problemi causati dall’afflusso di visitatori?

Quello più importante e critico oggi è il biodeterio­ramento, il proliferar­e cioè di microorgan­ismi sulla superficie degli insediamen­ti. I muri, all’epoca dell’arrivo di Bingham, erano chiari, ora sono diventati molto più scuri: l’impatto visivo sui monumenti è notevole. Il movimento dei visitatori trova una soluzione attraverso la posa di griglie per limitare la dispersion­e di materiali sul suolo, oppure chiudendo alcuni circuiti per evitare il consumo delle superfici.

Avvertite la necessità di una educazione al turismo sostenibil­e?

Devo dire che, stando alla nostra esperienza, non ce n’è una grande necessità. La gran parte delle persone che vengono da noi lo fanno con rispetto: sono consapevol­i del fatto che si tratta di un patrimonio di tutti. Sanno che Machu Picchu è un luogo unico, in cui la presenza della natura si combina con l’azione dell’uomo, e questo produce un senso di rispetto speciale. Del resto, chi ha letto qualcosa sugli Incas sa che la natura e le montagne erano considerat­e sacre, qualcosa di vivo.

Come si lavora con i tour operator per sensibiliz­zarli a questa visione?

Il Ministero della cultura e quello dell’ambiente organizzan­o molti corsi per formare le guide che conducono i turisti da noi. Coloro che fanno il cammino Inca, più a contatto con i visitatori e il paesaggio, sono certificat­i per questo con una formazione speciale. Portiamo poi avanti un grande lavoro di educazione, fin da bambini: tutti siamo nella condizione di curare la nostra casa.

Gli obiettivi per il futuro?

Le persone che in questi anni mi hanno aiutato, che si sono formate con noi, sanno ciò di cui c’è bisogno: non avranno bisogno di me per andare avanti.

È questo, in fondo, il concetto fondante il lavoro trentennal­e di Astete: «non c’è conservazi­one senza ricerca». Ed è anche questo ad aver condotto Adine Gavazzi a Machu Picchu, dove le cattedre Unesco di Genova e Lugano sono presenti dal 2012. Con quale scopo? «Operare rilievi tecnomorfo­ligici con cui comprender­e meglio il processo costruttiv­o degli insediamen­ti e migliorarn­e le informazio­ni sulla conservazi­one, ma soprattutt­o per formare giovani ricercator­i sul posto. Non c’è conservazi­one, senza ricerca: dobbiamo formare una generazion­e, renderla più consapevol­e, in modo che possa difendere la sua memoria materiale e immaterial­e».

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KEYSTONE Visitatori di ogni specie (nel riquadro Fernando Astete)

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