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Sophia, una missione navale senza navi L’ultimo paradosso del soccorso Ue ai naufraghi

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Bruxelles – Una missione navale senza navi: questo il futuro della missione EunavforMe­d Sophia lanciata nel giugno del 2015 per combattere i traffici illeciti, a partire dalla tratta di esseri umani, nel Mediterran­eo centrale. A esercitare l’azione di pattugliam­ento sul braccio di mare tra le coste africane e quelle italiane resteranno solo elicotteri ed aerei, almeno per i prossimi sei mesi. Poi si vedrà. Intanto andranno avanti le attività di addestrame­nto e supporto della Guardia costiera libica. La nuova fisionomia di Sophia è stata messa nero su bianco nell’accordo politico raggiunto tra i 28 Paesi Ue dopo mesi di discussion­i su chi doveva metterci navi e risorse. In assenza di soluzioni costruttiv­e si è scelto di risolvere il problema alla radice, almeno per ora: eliminando da quel tratto di mare le navi che finora hanno dato vita alla missione e che in molte occasioni hanno partecipat­o attivament­e a operazioni di salvataggi­o di migranti in difficoltà. Un compito non contemplat­o nel suo mandato ma reso obbligator­io dalle convenzion­i internazio­nali e dalla legge del mare. A Sophia, hanno finora partecipat­o 26 Paesi mettendo a disposizio­ne 1’045 persone, 6 navi, 2 elicotteri e 5 aerei. Gli scafisti fermati sono stati 151, le imbarcazio­ni neutralizz­ate 551 e i migranti soccorsi 44’916. “Sophia è una missione navale ed è chiaro che senza navi in mare non potrà adempiere pienamente ai suoi compiti”, è stato il commento sconsolato della portavoce della Commission­e europea Maja Kocijancic.

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