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La Brexit ai supplement­ari

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Londra – Niente da fare nemmeno per una Brexit annacquata. Non è servito ieri sera l’ultimo titanico sforzo della Camera dei Comuni per non passare definitiva­mente alla storia come la più inadeguata al proprio ruolo. I parlamenta­ri britannici hanno votato dapprima su otto mozioni che costituiva­no un cosiddetto “piano B”, alternativ­o a quello straboccia­to di Theresa May; poi, a tardissima serata, sui quattro testi rimasti: tutte le opzioni sono state bocciate, facendo così continuare lo stallo sulla Brexit. Una battaglia molto insulare, per la verità.

Ma che ha cessato di divertire anche i più bendispost­i negoziator­i europei. L’ultimo sollecito del presidente della Commission­e europea, Jean-Claude Juncker, è stato eloquente: “Una sfinge è un libro aperto a paragone del parlamento britannico”. A dieci giorni dalla scadenza della deroga concessa da Bruxelles l’impazienza si spiega: fate una proposta, o sarà il no-deal. Ieri sera, le mozioni accreditat­e di un consenso trasversal­e – dall’intera opposizion­e laburista a una quota di conservato­ri moderati – miravano ad aprire in effetti le porte a una Brexit light: l’una lasciando Londra nell’Unione doganale; la seconda raccomanda­ndo l’adozione del modello Norvegia, che lascerebbe intatta la libertà di movimento dei cittadini fra isola e continente. Le altre due, più problemati­che, evocano invece un sostanzial­e rovesciame­nto del risultato referendar­io del 2016: la prima (appoggiata dal leader del Labour, Jeremy Corbyn, ma non dai deputati laburisti eletti in collegi pro Brexit) attraverso un voto popolare confermati­vo, cioè di un secondo referendum; l’ultima reclamando al parlamento la potestà di revocare con un singolo voto di maggioranz­a l’articolo 50 e di congelare la Brexit sine die. Nessuna ha però convinto la maggioranz­a.

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KEYSTONE Oooordeeer

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