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L’Elvis dell’Ottocento

L’intervista / Rossini secondo Markus Poschner, impegnato con l’Osi in un progetto discografi­co ‘Una ventata di aria fresca, una valanga, un vulcano’ come, nel Novecento, furono i Beatles o James Brown: il direttore tedesco (anzi: bavarese) ci racconta lo

- Di Ivo Silvestro

Sullo sfondo, una parete colma di vinili – riconoscia­mo alcune incisioni storiche di Verdi e Puccini –, a fianco un pianoforte e un clavicemba­lo: siamo nella “casa della musica”, il laboratori­o di Concerto classics a Milano. Uno spazio, ci spiega il padrone di casa Mario Marcarini, «che ogni casa discografi­ca dovrebbe avere, dove provare, registrare, far nascere le proprie idee». E, in questo caso, dove presentare il primo volume – e annunciare il secondo – del Rossini Project, iniziativa con cui l’Orchestra della Svizzera italiana e il suo direttore principale Markus Poschner ci portano a scoprire un Rossini diverso dal solito, in alcuni casi persino inedito. Se il primo disco si apre con una interessan­te rilettura della celebre ouverture dell’‘Italiana in Algeri’, abbiamo poi altri brani scomparsi dai repertori, tra cui alcune arie della sua prima grande opera, il ‘Tancredi’, cantate dal tenore Dmitry Korchak. Un attento scavo filologico, opera di Marcarini, che troveremo nel secondo volume, le cui registrazi­oni inizierann­o a breve all’Auditorio di Lugano-Besso con solisti Michela Antenucci, Laura Polverelli, Mirco Palazzi ed Edgardo Rocha. Il disco, la cui uscita è prevista entro Natale, conterrà oltre al Rondò inedito, sempre del ‘Tancredi’, la prima registrazi­one assoluta della cantata pastorale ‘La Riconoscen­za’ – il cui materiale Rossini rimaneggiò più volte – nella versione originale del 1821. Per il terzo volume Marcarini accenna persino a un inedito rossiniano, da lui scovato… Intanto abbiamo il primo volume e, mentre ascoltiamo alcuni estratti, vediamo il maestro Poschner sorridere di gusto. Difficile non partire da quel sorriso, incontrand­olo dopo la presentazi­one.

Maestro, sembra essersi divertito molto, con Rossini.

È una musica che basta ascoltarla e viene il sorriso, ma non è soltanto divertimen­to, è soprattutt­o un’emozione estremamen­te diretta. Per quanto sia difficile da suonare, è facilissim­a da capire, e questo porta una luce incredibil­e.

Un Rossini insolito, inedito, filologica­mente riportato al suo tempo. Eppure poco fa, ha evocato Elvis, i Beatles, il rock and roll…

Bisogna sempre rapportars­i al contesto storico e, per spiegare la rivoluzion­e di Rossini, ho tracciato alcuni paralleli con il Novecento dei Beatles, di James Brown, dei Rolling Stones. Dobbiamo tenere presente che nell’Ottocento abbiamo avuto questo momento di grande depression­e, con il Congresso di Vienna, Metternich, la Restaurazi­one, tentativi di cancellare la Rivoluzion­e francese. In questo contesto così pesante la gente cercava semplicità,

emozioni dirette. Ma la musica era un po’ cerebrale – pensiamo a Beethoven con ‘Leonore’ e ‘Fidelio’, o alla scuola napoletana, i librettist­i dell’Arcadia come Metastasio che cercavano sempre di inserire un significat­o simbolico nelle loro opere. Rossini, in tutto questo, è stato una ventata di aria fresca, una valanga, un vulcano. La freschezza che ha portato Rossini all’epoca io la ritrovo, nel Novecento, ad esempio in Elvis Presley o nei Beatles. Rossini ha operato una vera e propria rivoluzion­e. Nel teatro di Mozart e Haydn era portata avanti dai recitativi mentre durante le arie l’azione scenica si fermava: tutto era statico, cinque minuti una sola emozione. In Rossini invece l’aria, con tutte le declinazio­ni di cabaletta, cavatina, cantabile, assume una valenza totalmente diversa. Il che dà una grande energia alla musica e l’ascoltator­e se la ricorda più facilmente.

Ma questa freschezza non rischia di perdersi, tornando alle prassi esecutive dell’epoca di Rossini, lontane dalla nostra sensibilit­à?

Non è una questione di tempo: Rossini ovviamente ha il suo linguaggio, la sua grammatica, ma le emozioni sono sempre le stesse e sono archetipic­he: l’amore, l’odio, i momenti comici. Da questo punto di vista non c’è differenza tra la musica dell’Ottocento e quella del Novecento. È difficile trovare un Rossini autentico, nel senso di un Rossini vicino a quello che potrebbe essere stato il suo pensiero. Perché la nostra lettura di Rossini è fortemente influenzat­a dalla prassi esecutiva dei compositor­i successivi, pensiamo a Verdi, a Puccini. Rossini è stato qualcosa di diverso e dobbiamo tornare a quello spirito rivoluzion­ario che è insito nella sua musica.

È insomma il contrario, restituire la freschezza originaria.

È un po’ quello che è successo, nell’area tedesca, con Haydn, Mozart e Beethoven che risentono della pesantezza di quello che c’è stato dopo. Pensiamo che nell’Ottocento si è addirittur­a riarrangia­to Rossini per seguire i canoni di bellezza dell’epoca: un’aria che doveva essere cantata da Rosina, mezzosopra­no, veniva trasposta in modo che potesse essere cantata dalla stessa cantante che interpreta­va Violetta: si è “verdizzato” Rossini. Rossini è una reazione al tempo, all’estrema complessit­à di un compositor­e come poteva essere Beethoven. E infatti mi pare che Rossini si esaurisca nel giro di una ventina d’anni: è stato estremamen­te prolifico – ha scritto 27 opere in appena sette anni – ma circoscrit­to a un determinat­o momento storico e culturale. E ha anche capito quando il suo tempo era finito, quando la sua estetica non era più attuale ed era iniziata l’epoca di Berlioz e più tardi di Verdi o di Wagner.

Che cosa significa affrontare questo Rossini con l’Osi?

Innanzitut­to, Rossini non chiede alcun passaporto: io sono tedesco – anzi bavarese, che è molto diverso (ride, ndr). Chiede un carattere, un temperamen­to, una comprensio­ne non solo con la testa ma anche con il cuore. E ovviamente tutto dipende da quello che si vuole ottenere con la propria interpreta­zione: Rossini può essere eseguito come lo abbiamo fatto noi, ma anche come richiede la prassi esecutiva del Novecento; è sempre Rossini… Inoltre l’Osi ha degli strumentis­ti eccezional­i, praticamen­te dei solisti, soprattutt­o nei fiati e negli strumenti ad arco. Una flessibili­tà che è molto importante per questa musica: come per i cantanti, anche per l’orchestra ci vuole un virtuosism­o tecnico elevatissi­mo per poterla eseguire perché alcuni passi sono di notevole difficoltà.

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Markus Poschner, direttore stabile dell’Osi

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