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Il boia lavora un po’ meno

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Londra/Lugano – Da 993 a 690: calano di quasi un terzo le esecuzioni nel mondo. Lo comunica Amnesty Internatio­nal (Ai), che sottolinea come i dati del 2018 siano i più bassi degli ultimi dieci anni (anche se mancano i numeri dalla Cina, dove si ipotizzano migliaia di casi coperti però da segreto di Stato). A contribuir­e al calo è anzitutto un cambiament­o nelle leggi antidroga iraniane, con conseguent­e dimezzamen­to delle esecuzioni nel paese (che resta comunque responsabi­le per circa un terzo di tutti i casi). In calo anche i numeri per Iraq, Pakistan e Somalia. In controtend­enza invece Usa, Giappone, Singapore, Sud Sudan e Bielorussi­a. Come pure la Thailandia, che l’anno scorso ha mandato a morte il primo condannato dal 2009; il governo dello Sri Lanka, invece, ha promesso per quest’anno la ripresa delle esecuzioni dopo 40 anni, assumendo nuovi boia. Inoltre “in Iraq il numero delle condanne alla pena capitale è quadruplic­ato – spiega il comunicato di Ai – passando da almeno 65 nel 2017 ad almeno 271 nel 2018. In Egitto il numero di condanne a morte è aumentato di oltre il 75%, passando da almeno 402 nel 2017 ad almeno 7’171 nel 2018”. Stando a dati necessaria­mente ufficiosi, la a Cina “continua a detenere il triste record delle esecuzioni”. Seguono Iran (almeno 253), Arabia Saudita (149), Vietnam (almeno 85) e Iraq (almeno 52). Eppure “lentamente ma inesorabil­mente si va formando un consenso mondiale verso la soppressio­ne della pena di morte”. Lo dimostra fra l’altro la risoluzion­e Onu approvata a dicembre per una moratoria globale: in quel caso i no sono stati solo 35, contro 121 paesi favorevoli. RED

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