Chiamale emozioni
Le voci di chi ha accompagnato ad Abu Dhabi gli atleti ticinesi ai giochi mondiali estivi dedicati alle persone con disabilità mentale. Il direttore sportivo di Special Olympic Svizzera e tre allenatori raccontano le loro sensazioni e concordano: è un’esperienza incredibile. Le medaglie? Belle e meritate, ma si torna vincitori in molti modi.
Il dinosauro – a scanso di equivoci la definizione è sua – non era al primo ‘special’ mondiale. Si sarebbe però pronti a scommettere il contrario, sentendolo raccontare i suoi decimi World Games. «Pur cambiando contesti, situazioni e difficoltà, le emozioni sono sempre forti». Emozioni, al plurale o al singolare, è la parola che Aldo Doninelli usa di più durante l’intervista. Di Abu Dhabi, dice, gli è «difficile scegliere una sola immagine. Se devo indicarne una – afferma il direttore sportivo di Special Olympic Switzerland – direi la soddisfazione degli atleti nel portare a termine le competizioni e, ovviamente, quando hanno ricevuto le medaglie». Poi aggiunge una cosa, e capisci che chiedergli di “riassumere” un’esperienza come i mondiali per persone con disabilità mentale, in una sola ‘fotografia’, non è stata una domanda brillante. «Mi colpisce la soddisfazione dei coach nel vedere gli atleti in grado di portare a termine le gare, per le quali si sono preparati mesi». La sua sfida, invece, esula dallo stretto ambito sportivo. «Ritengo fondamentale creare uno “spirito di delegazione”. Non è facile: il gruppo si forma sull’arco di quasi un anno; atleti e coach non sono professionisti e non è facile trovare momenti per allenarsi insieme e conoscersi. È affascinante vedere come da vari gruppi si dia forma a un’unica delegazione, al di là di differenze linguistiche e diversità culturali». Più che gli aspetti tecnici, si «sviluppano senso di appartenenza e collaborazione. Vedere la delegazione svizzera unita è un motivo di soddisfazione. È questa la medaglia per noi organizzatori». Un premio al lavoro di tutti, «allenatori compresi. Nello sport ‘tradizionale’ si parte dal presupposto che gli atleti siano indipendenti; mentre agli Special Olympic sono persone con disabilità intellettiva: hanno dunque bisogno un accompagnamento più presente in ogni momento. Si lavora parecchio sul piano sociale e delle persone. È questo che crea un attaccamento forte tra i membri della delegazione. Durante i World Games si sta assieme: così nascono emozioni forti, che si condividono con sportivi di varie discipline e di altre nazioni, con cui ci si vede come colleghi e amici, anche se sul campo si fa di tutto per vincere». Poco o nulla importa, perciò, conta il numero di medaglie conquistate dalla delegazione. «L’essenziale è che gli atleti abbiano vissuto bene questa esperienza (cosa non scontata) e tornino con un bagaglio più grande di quello che avevano all’arrivo. La vera vittoria per noi è vedere come, sull’arco di due settimane, queste persone crescano in indipendenza e consapevolezza di ciò che sanno fare».
Gioco di squadra nella vela
Emozione, al singolare e al plurale, è il termine più pronunciato anche da Daniele Piazza. Membro dell’Associazione Velabili, con sede al Circolo velico Lugano, ha partecipato ai World Games per la prima volta. «È un evento internazionale, strutturato come un’Olimpiade. È stato incredibile trovarsi dentro dinamiche che io avevo sempre visto solo in tv. La cerimonia di apertura è stata emotivamente intensa, da groppo in gola. Sarà pure un momento simbolico, ma emozione, entusiasmo e spontaneità degli atleti mi hanno toccato moltissimo». A colpirlo anche l’impegno «pazzesco messo nelle competizioni da questi ragazzi, che in un modo o in un altro ti coinvolgono. Tengono a raggiungere un buon risultato, meglio ancora una medaglia; ma la gioia può avere molte facce». Il suo atleta, ad esempio, ha avuto qualche difficoltà a causa del vento molto forte, così Piazza ha navigato più lentamente, affinché non si agitasse. «Ormai fuori dalla corsa per il podio abbiamo allora deciso di fare gioco di squadra, nel rispetto delle regole, per aiutare l’altro team ticinese a conquistare l’oro. Alla fine eravamo tutti soddisfattissimi». La definisce un’ esperienza indimenticabile, che rifarebbe «volentieri; se fisicamente sto bene (non sono più così giovane) – ride – e se posso dare il mio contributo. Trovo però anche bello che altri coach possano partecipare a questa avventura. Intensa e impegnativa, certo, ma assolutamente da vivere».