Bevitori e oziosi ai ‘lavori forzati’
Fino al 1981 migliaia di adulti furono internati, senza decisioni giudiziarie e senza aver commesso reati. Erano da rieducare perché deviavano dalla morale borghese e cattolica di allora. Diverse donne furono sterilizzate. Ecco le vicende e che cosa succe
Fino al 1981, in Svizzera decine di migliaia di adulti e giovani furono rinchiusi in istituti o carceri pur non avendo commesso alcun reato. Puniti come criminali e obbligati a lavorare per lo Stato perché considerati cattivi cittadini (‘bevitori’, ‘vagabondi’ o ‘donne dissolute’) da rieducare, da correggere portandoli ad allinearsi ai valori della società. Un capitolo buio della storia elvetica che è stato scandagliato dai ricercatori per conto della Confederazione. Vi spieghiamo che cosa succedeva ad esempio alla Valletta di Mendrisio (vedi a lato).
Le misure venivano disposte da un’autorità amministrativa senza alcun procedimento giudiziario: bastava che qualcuno cambiasse lavoro di frequente o che una donna nubile restasse incinta. Madri sole internate, alcune obbligate ad abortire o sterilizzate. Finivano in istituto per essere rieducati tramite il lavoro. Le autorità giudicavano il loro comportamento e stile di vita poco conformi alle norme sociali e come una minaccia per l’ordine pubblico. Venivano internati, e quindi esclusi dalla società, soprattutto individui provenienti da ceti sociali ed economici svantaggiati. Sono descritti in termini sprezzanti, quali «scansafatiche», «scostumata», «ubriacone», «sciattona» o «asociale».
15mila vittime dello Stato
I loro figli venivano strappati ai genitori e piazzati in istituti, in riformatori dove molti sono stati maltrattati e abusati come ci raccontano in questo approfondimento Giovanni Mora e Sergio Devecchi. Entrambi sottratti da giovanissimi ai genitori ritenuti non capaci di allevarli. Ma lo Stato non ha saputo fare meglio, come spiegano le due vittime la cui unica colpa era quella di essere ‘illegittimi’, figli di donne sole e povere.
Ben 15mila persone (secondo il Consiglio federale) hanno subito queste terribili ingiustizie fino al 1981 in Svizzera (Ticino compreso).
Di tutto ciò, fino a qualche anno fa, non c’era traccia nei libri di storia, ma ora si inizia a mettere nei manuali questa triste pagina della storia elvetica. Infatti le vittime di questa prassi amministrativa, appoggiate da esponenti del mondo politico e scientifico, hanno chiesto un dibattito pubblico sulle ingiustizie subite. Nel 2014 il Consiglio federale ha istituito la Commissione peritale indipendente (Cpi) Internamenti amministrativi, sotto la cui direzione un gruppo di ricerca interdisciplinare ha esaminato la storia di tali misure, riassunta in una mostra che sta attraversando la Svizzera e farà tappa in 12 piazze. Sarà a Bellinzona dal 16 al 22 aprile.
Isolati, sorvegliati e autosufficienti
Gli adulti e i giovani venivano internati in strutture di ogni tipo: istituti di lavoro forzato, colonie di lavoro, riformatori, case per madri e bambini, case di cura per alcolisti, prigioni, manicomi, ospizi per poveri. Molte strutture accoglievano sotto lo stesso tetto condannati in giudizio e internati amministrativi. Isolati, sorvegliati e forzati ad un lungo e faticoso lavoro. Questa era la quotidianità degli internati che dovevano gravare il meno possibile sulla società. Il potere dei direttori d’istituto era immenso. La corrispondenza veniva controllata; i soprusi verbali e fisici sono all’ordine del giorno, come pure le percosse e gli stupri ad opera di dipendenti d’istituto. Il margine interpretativo e operativo delle autorità era grande, rendendo le loro decisioni poco trasparenti. I ricorsi contro l’internamento venivano spesso intercettati dai direttori d’istituto e non andavano a buon fine nemmeno quando giungevano nelle mani competenti.
Soltanto nel 1981 la Confederazione rivede e armonizza le basi legali del collocamento in istituto.